“Perché un uomo possa vivere, egli deve, o non vedere l’infinito, oppure avere una spiegazione del senso della vita tale per cui il finito venga eguagliato all’infinito” (Lev Tolstoj, Confessione)
Questa frase, scelta come motto della mostra che Russia Cristiana offre a tutti i partecipanti al trentacinquesimo Meeting per l’amicizia tra i popoli, lascia poco all’immaginazione di chi si accinge a visitarla. La questione che in essa viene affrontata è assolutamente centrale per la vita dell’uomo, anzi, è sicuramente la questione per eccellenza: l’infinito come senso della vita, in una continua dinamica di ricerca, di presentimento, di “assaggio” e insieme di smarrimento, di mai raggiunto, di mai pienamente compreso.
Per Tolstoj questa ricerca segnò tutta la vita, in una brama di conoscenza e di cambiamento che prende le mosse dai tempi del suo soggiorno nel Caucaso, al seguito dell’esercito imperiale, si sviluppa negli anni di Jasnaja Poljana con i tentativi di miglioramento ed emancipazione della vita dei contadini, passa attraverso una crisi religiosa che lo porterà a riformulare completamente la sua concezione del cristianesimo e della figura di Cristo – fino a negarne la divinità e conseguentemente venire scomunicato dalla Chiesa Ortodossa – e non si spegne fino al giorno della morte, avvenuta a seguito di una drammatica fuga dalla sua stessa famiglia e dal suo segretario – di fatto il suo “carceriere”, custode di un “tolstoismo” che si voleva imporre allo stesso Tolstoj, il quale tuttavia lo sentiva come una gabbia -, e che lo coglierà in una sperduta stazione di provincia (a quasi 300 km a sud-est di Mosca), senza che gli sia possibile riconciliarsi con la Chiesa.
Un’esistenza in continua ricerca, quella di Tolstoj, ma nello stesso tempo una figura, la sua, alla quale tutta la Russia e l’Europa guardavano, ritenendolo un maestro di saggezza, un propagatore di una vera vita evangelica, un infaticabile avversario di ogni tirannia. Oltre che uno scrittore dalla straordinaria capacità di descrivere il cuore dell’uomo ed i suoi sentimenti più profondi.
Perché una figura simile in un Meeting che ha per tema le periferie dell’umano?
Sicuramente Tolstoj non si sarebbe mai considerato una figura “periferica”, lui che aveva comunque una personalità fortissima e un io continuamente assetato di esperienza e di conoscenza. Ben più facilmente si potrebbe pensare (e molti l’hanno pensato e ancora lo pensano) che l’unica “periferia”, nella sua vicenda, sia quella della Chiesa ortodossa del suo tempo: una Chiesa così compenetrata con il potere statale zarista (non dimentichiamo che a capo del Santo Sinodo c’era a quel tempo un Oberprokuror [Procuratore capo], cioè un alto funzionario dell’amministrazione imperiale) da essersi praticamente ridotta, nell’esperienza dei più, a funzionare come un “apparato” dello stato al quale erano demandati una serie di attività e di “servizi” di carattere religioso e devozionale di cui tutti dovevano fruire, senza che si rendesse veramente necessario credere davvero in Cristo, ovvero porre l’annuncio di Lui come aspetto fondamentale dell’agire ecclesiastico, compreso inoltre dai più come una realtà perennemente in polemica con l’intellighenzia e il mondo della cultura.
Senza dubbio la Chiesa ortodossa russa pre-rivoluzionaria aveva in sé molti aspetti che la rendevano “periferica” rispetto alla vita delle persone e, particolarmente, ai fermenti più vivaci che agitavano – talora in modo disordinato e nichilista – la società russa.
Ma questo non significa che anche la tenuta di Jasnaja Poljana – luogo di abitazione di Tolstoj con la sua famiglia, con il gruppo dei fedelissimi discepoli, nonché con il “cerchio magico” dei suoi ultimi anni di vita, ma anche “laboratorio sociale” in cui sperimentare le sue teorie sulla convivenza e la redenzione dei contadini – non fosse essa stessa una vera periferia esistenziale. E, seppur in modo speculare, si trattava della medesima periferia.
“Periferia”, infatti, significa originariamente, nel greco antico che plasma questo termine, “circonferenza”, “perimetro”; ma già nel greco della Settanta (l’antica traduzione del Vecchio Testamento) il termine “periferia” assume il significato di un “vagare errando”, tipico di chi gira in tondo senza costrutto, senza riuscire ad andare verso il centro. Proprio in questo senso possiamo affermare che tanto la Chiesa Ortodossa (e la società russa) quanto Tolstoj e la sua cerchia vivevano un’esistenza “periferica”: perché costantemente a rischio di perdere la relazione con Cristo, unico centro della realtà, sola risposta a ogni domanda sull’umano e sull’umanità.
Capiamo allora perché questa mostra è di sconcertante attualità: le “periferie”, infatti, non sono semplicemente dei luoghi da andare a visitare con il desiderio di fare del bene, magari animati da un desiderio di filantropia o anche da un sincero anelito di condivisione delle povertà. “Periferia esistenziale” è allora ogni perdita della relazione con Cristo (e della consapevolezza della sua necessità per vivere), e per questo possiamo davvero affermare che ciascuno di noi viene interpellato sia dall’esperienza di Tolstoj, sia da quella della Chiesa che lo scomunicò.
Il percorso della mostra – ideata nell’ambito di “Russia Cristiana” da Giovanna Parravicini con Marta e Adriano Dell’Asta e Francesco Braschi, e cresciuta grazie al coinvolgimento di amici quali la poetessa e letterata Ol’ga Sedakova, la nipote di Tolstoj Fekla Tolstaja e di un numeroso gruppo di studenti italiani e russi – si propone di porre ogni visitatore a contatto con l’esperienza di Tolstoj, della sua cerchia e degli uomini e donne di Chiesa che vissero drammaticamente il confronto con lui sotto gli occhi dell’intellighenzia russa ed europea a cavallo tra otto e novecento.
Cercando di ricostruire attorno ad alcune figure di particolare importanza e spessore per lo svolgersi della vicenda tolstojana i diversi momenti del confronto (la posizione della domanda, il tentativo di dialogo, la contrapposizione, l’incomprensione, la rottura, la mancata riconciliazione), la mostra mette in evidenza come quel dialogo che sembra irrimediabilmente interrotto con la morte di Tolstoj, cristallizzato in una reciproca incomunicabilità di posizioni, in realtà continua in alcuni dei suoi discepoli o compagni di strada che seppero compiere scelte spesso drammatiche di critica e presa di distanza dal loro maestro.
Costoro seppero “portare” le sue domande sfidanti e audaci, vivendole come possibilità di maturazione di una fede vera, sino a permettere ad alcuni di loro (ad esempio Novoselov o Solov’ëv) di compiere un vero cammino dalla periferia al centro, nella riscoperta dell’irrinunciabilità della relazione con Cristo. E questo cammino non fu interrotto nemmeno dagli sconvolgenti eventi del 1917, ma al contrario fu fecondo di risposte capaci di ispirare cammini di ripensamento sul ruolo della Chiesa, la cui importanza è ancora oggi palese, e non solo per la Chiesa Russa.
Al visitatore viene offerto ancora una volta un dono di sfida e di stimolo ad approfondire la ragione e l’esperienza che sgorga dalla ricchissima, complessa e misteriosa ricchezza della storia del pensiero russo. Che sa mettere in luce talora impietosamente – ma con una chiarezza irrinunciabile – i moti più contraddittori dell’animo, anticipando fenomeni che solo con un’ampia dose di stoltezza potremmo ritenere tipici del mondo russo, e a noi estranei. La risonanza europea della figura di Tolstoj, al contrario, ci mostra come all’inizio del secolo XX fosse viva una circolazione di idee e di domande che avvolgeva tutta l’Europa, dall’Atlantico agli Urali, e che ci è utile ricordare come un ambito assolutamente necessario per il nostro stesso respiro, contro ogni tentazione di chiusura particolaristica ed escludente, da qualunque parte essa venga.