Il romanzo distopico è, per noi lettori moderni post 1984 di George Orwell , Brave New World di Huxley ed del più recente The Handmaid’s Tale di Margaret Atwood, un membro onorevole del Pantheon letterario; ci permette di guardare ad un presente inquietante attraverso il velo protettivo di  un mondo futuro immaginario, in cui l’autore coglie una inquietudine dell’oggi e ne profetizza il di solito infausto svolgersi in uno scenario variamente apocalittico. In Lord of the World, scritto da Monsignor Robert Louis Benson, (pastore anglicano “apostata” perché divenuto prete cattolico) nel 1907 ma ambientato all’inizio del XXI  secolo, lo scenario è il Giorno del Giudizio e The Second Coming, con la caduta del mondo sotto il dominio dell’Anticristo prima della dissoluzione finale, quindi scenario apocalittico per antonomasia.



Tuttavia  il romanzo di Benson è  distopico in un suo originalissimo modo, e certo non tanto perché  Benson, come i Maya o Orwell, abbia  tratteggiato un mondo non corrispondente a quanto il tempo ha poi dipanato. Certo nessuno oggi sceglierebbe l’asbesto come eccellente materiale di costruzione, della vera grande rivoluzione del XXI secolo, Internet, non vi è traccia alcuna nel romanzo, la tecnologia dei soli volors, specie di macchine volanti rapidissime, appare quasi ingenua in confronto ai viaggi spaziali, ma per molti lettori “the rub”, l'”inciampo”, del romanzo starebbe altrove.



Innanzitutto Benson “estremizza”, perché presenta il mondo come terreno di scontro fra due Mystical Bodies (“Corpi Mistici”) quello della Razza Umana e quello della Chiesa Cattolica, non vi sono altri attori su questo palcoscenico; il primo è assolutamente materialista e secolare, il secondo trascendente e votato all’eterno. Visto che  gli esseri umani sanno compiutamente donarsi solo ad altri esseri umani, tutti scelgono un solo amore, o quello per Julian Felsenburgh, il leader silente e misterioso della religione dell’Umanità, che infiamma le folle e a cui tutti i capi di Stato cedono ogni autorità, o quello per Papa Silvestro, tale Padre Franklin, un prete cattolico a cui tocca di diventare l’ultimo Papa in quel di Nazareth, pastore di una chiesa ridotta al lumicino e rientrata nelle catacombe e il cui solo ordine è quello dell’Order of Christ, proseliti votati praticamente al martirio.



Eppure di Felnsenburgh non si ode che una frase nel romanzo, lo si vede solo da lontano, non se ne conoscono origini e spostamenti, mentre di Father Franklin, umile prete londinese e futuro Papa Silvestro, si conosce tutta la vita interiore  e l’intima comunione che cerca con Dio attraverso la preghiera e la meditazione, a cui Benson dedica pagine e pagine, mostrandocene anche lo sguardo di stupore che porta al sole che si leva, o il suo chinarsi sui moribondi prima che li raggiungano i ministri dell’eutanasia. Father Franklin e Felsenburgh sono fisicamente identici, ma nel mondo dominato dalla Fede nell’Uomo, che adora la statua della Maternità, versione blasfema della Vergine Madre, il Lord of the World, il Signore e Padrone del Mondo, è Lui, Felsenburgh, (rigorosamente con la maiuscola così come Holiness, Sua Santità Pope Silvester), e Benson lo tratteggia perché abbia esattamente le caratteristiche dell’Anticristo, che vince attraverso la fede nel materialismo, la sua arma più efficace nella lotta contro Dio, perché nega il trascendente nell’uomo. E come rivolgersi per un aiuto al vero Signore del Mondo, se Lo si rifiuta? Al Diavolo piace “vincere facile”, diremmo noi moderni, parafrasandone malamente la natura di Padre della Menzogna.

Ma a chi interessa oggi un romanzo sulla Second Coming  che annunci  la vittoria del materialismo progressista? Forse a tutti, visto che alla vittoria del materialismo si associano nel romanzo fanatismo delle folle, un potere dittatoriale assoluto associato al culto della personalità, l’odio contro la fede cattolica, una strana sterilità (l’unica coppia di marito e moglie, i coniugi Brand, non ha figli, quasi che vivere per la causa dell’Umanità non permetta di dedicarsi alla propria felicità) e infine l’eutanasia? Quali di queste “conquiste” ci manca oggi?  

Tuttavia “the rub”, la vera ragione della repulsione o attrattiva che il romanzo di Benson possono suscitare oggi,  non sta alla fine nemmeno nella forza profetica della sua distopia. I mezzi volanti mandati da Felsenburgh radono al suolo l’ultimo rifugio della Cristianità, proprio quel villaggio, Nazareth, da cui Cristo iniziò la Sua missione. Fin qui chi è ateo e materialista gioirà, ignorando come inutile superstizione le parole in latino del Tantum Ergo Sacrementum, l’inno liturgico di San Tommaso S’Aquino per la celebrazione eucaristica, e la chiusura del romanzo con Then this world passed, and the glory of it, (Poi il mondo passò, e la di esso gloria), mentre il cristiano ne trarrà conforto, così come trarrà convincimento della bontà della sua fede dalla visione del male che il materialismo porta nel mondo. Ma se all’ateo è permesso errare,  il vero colpevole sarà il lettore  cristiano, che avrà ignorato il vero messaggio del romanzo. Inciampando in “the rub”.

Ciò che potrebbe far inorridire anche lui, il cristiano convinto della verità della sua fede e del profondo errore del materialismo, è che Benson presenta il potere  della religione dell’umanità come assoluto, per il miglioramento delle condizioni di vita non solo materiali ma anche sociali nel trionfo della democrazia, per l’ampiezza di discussione delle sue verità, vastità ed efficacia di mezzi di persuasione, pur mostrandone anche gli orrori, e poi cosa oppone a tutto questo? Che esercito si arma   intorno ad un nuovo Difensor Fidei?

Come sola ed unica  risposta, Benson non propone la contro offensiva di una Chiesa che disponga  di mezzi e forze ingenti, ma  la narrazione della vita interiore di Father Franklin, poi Pope Silvester, una anima consacrata a Dio, con le Messe che celebra e il dialogo continuo e  ascetico che ha con Dio, e continui tentativi di mantenere vivo ed unito un corpo mistico di Cristo sempre più piccolo, la Chiesa, ormai solo una e cattolica (tutte le divisioni della storia del Cristianesimo sono scomparse), e non per speranza di vittoria, ma perché così chiese Colui che la fondò, fino alle  parole finali di Pope Silvester:”I have had a Vision of God” (…) “I walk no more by faith, but by sight” (Ho avuto una Visione di Dio, (…) Non cammino più per la fede, ma per aver visto” 

Che risposta è mai questa, di fronte al dilagare del mondo? Nessun esercito, nessuna strategia, solo preghiera, unione ed una Visione? Nell’età post moderna la voce profetica di Benson ripete la stessa risposta di Cristo, che disse a Pietro di deporre la spada nell’Orto degli Ulivi. Due Papi, Francesco e Benedetto XVI, si dice amino molto questo romanzo. 

Forse questa scelta a favore di ciò che non conta e non sembra poter vincere  spiega come  l’anima di Father Franklin possa vibrare in misteriosa risonanza con quella di una donna, Mabel  Brand, votata alla causa del materialismo per convinzione profonda, perché è convinta che l’ideologia secolare potrà soddisfare tutti i bisogni, anche quelli più profondi, del cuore umano, compreso il suo. Ma Mabel, che ha sposato la causa dell’umanità con lo stesso ardore con cui ha sposato suo marito, una delle figure di punta della fede secolare, ha una profonda sete di verità e giustizia, insopprimibili, ed è scandalizzata a morte (letteralmente, sceglie l’eutanasia) dal fatto che la religione dell’Umanità giustifichi lo sterminio, anche dei Cattolici della cui strana superstizione si informa prima di scegliere l’eutanasia. Non trae dalla dottrina cattolica enunciatale per punti assolutamente corretti da un prete apostata, convertito alla religione dell’Umanesimo, alcuna convinzione o consolazione, mentre il fugace incontro con Father Franklin chino sui moribondi per strada e poi sulla sua stessa suocera morente le è rimasto  dentro, nel fondo di un desiderio di senso e umanità che la porta, suicida che si colloca da sola la maschera sul viso per inalare il gas letale (l’eutanasia è legge dello stato ma è auto-inflitta in totale solitudine ) a questo:

A limitless space was about her–limitless, different to everything else, and alive, and astir. It was alive, as a breathing, panting body is alive–self-evident and overpowering–it was one, yet it was many; it was immaterial, yet absolutely real–real in a sense in which she never dreamed of reality….

Yet even this was familiar, as a place often visited in dreams is familiar; and then, without warning, something resembling sound or light, something which she knew in an instant to be unique, tore across it….

* * * * *

Then she saw, and understood…. 

Uno spazio illimitato le si aprì intorno – illimitato, diverso da qualsiasi altra cosa, e vivo, e in moto. Era vivo, come è vivo un corpo che respira ed ansima  – evidente e travolgente – era uno, e tuttavia era molti: era immateriale, e tuttavia  assolutamente reale – reale in un modo in cui mai sognava della realtà …

Tuttavia persino questo era familiare, come è familiare un luogo spesso visitato nei sogni; e poi, senza preavviso, qualcosa che assomigliava a suono o luce, qualcosa che elle seppe in un istante essere unico, lo squarciò….

* * * * *

Allora ella vide, e capì …”