Sembra quasi il litigio di una coppia datata – ci si rimprovera le solite mancanze, riconducibili al carattere dell’altro, senza ascoltare nemmeno più i suoi argomenti. Il progetto comune si perde in un continuo calcolo in cui ogni parte cerca di difendere la propria posizione contro l’altra. Purtroppo l’Europa, e soprattutto le relazioni tra Germania e Italia sembrano essere arrivate a questo punto preciso. Per impedire che la trasformazione di una progettualità comune in un mero “do ut des” tra concorrenti conduca ad un progressivo allontanamento o perfino al “divorzio”, bisogna analizzare il vero motivo delle incomprensioni reciproche, cioè l’idea troppo diversa di ciò che si intende con quel principio che dovrebbe costituire il centro dell’Unione Europea ossia la solidarietà.
Innanzitutto, dal punto di vista italiano, la politica tedesca, spesso caratterizzata come quella dell’“austerità”, si concilia ben poco con tale idea e ben presto si individuano le solite caratteristiche di mentalità per spiegarsi una nuova avanzata dell’“egemonia” tedesca in Europa. Per chi vuole invece ancora salvare il progetto europeo dal divorzio dovuto a reciproche incomprensioni, conviene gettare uno sguardo sul periodo iniziale di ciò che oggi è diventata ormai l’Unione Europea: Adenauer ed Erhard, da un lato, e De Gasperi ed Einaudi, dall’altro, condividevano una grande idea comune, ossia che la solidarietà tra stati deve essere pensata solo eccezionalmente come una concessione del più forte al più debole, mentre nel suo significato principale permetterebbe la realizzazione di finalità proprie degli stati membri all’interno di una progettualità precisa. Ciò è possibile soltanto se ciascuno stato membro trasforma il suo interesse proprio in un “interesse razionale”, prendendo sul serio il dovere di contribuire a quei due elementi essenziali che costituiscono il quadro indispensabile per il progetto comune: la stabilità della moneta e l’abbattimento del debito pubblico. Come i due obiettivi principali di una tale politica economica, quindi, risultano le misure anti-inflazionistiche e la riduzione dei costi pubblici, quindi politiche monetarie e di austerità. L’austerità, in tale prospettiva, allora non sta per una politica egemonica, ma indica quella razionale auto-responsabilizzazione di ogni paese che costituisce una forma di solidarietà di base. Da questo punto di vista, e ciò è il punto sul quale la Germania insiste oggi, viola la solidarietà chi sfora tali criteri di stabilità.
Il primo obiettivo di Angela Merkel oggi è di non disincentivare le necessarie riforme in alcuni paesi, tra i quali l’Italia, tramite un trasferimento monetario del resto solo difficilmente spiegabile al contribuente tedesco. Un tale livello di solidarietà più “generosa” sarebbe infatti pensabile soltanto qualora vengano realizzati quei criteri di base appena indicati. Gli Eurobonds o qualsiasi altro strumento che trasformasse l’unione monetaria de facto in una transfer union che socializzasse i debiti tra tutti i paesi membri (come ad esempio l’acquisto di titoli nazionali da parte della BCE), sarebbe quindi il mezzo sbagliato per la realizzazione della solidarietà in Europa.
Le riforme che nel frattempo Renzi ha offerto in cambio di una maggiore flessibilità monetaria dovrebbero consistere nella riduzione di uno stato che con il suo debito e il livello di tassazione si è sostituito alla libertà economica distruggendo le basi effettive per ogni solidarietà non solo con la generazione presente ma anche con quella futura. Con la sua strategia Renzi segnala di voler rientrare nuovamente all’interno della progettualità comune dell’Eurozona. Da parte dell’Italia, però, le riforme dovrebbero essere viste meno come un’imposizione da parte dell’Europa o della Germania ma piuttosto come una necessità di solidarietà con i propri cittadini presenti e futuri.
D’altro canto, e in questo senso anche la Germania ha dovuto imparare una lezione di solidarietà, è anche vero che una mera politica di austerità rischia di soffocare qualsiasi possibilità di ripresa e di ripartenza. Infatti nella crisi greca, la Germania ha continuamente modificato questo suo paradigma, accompagnandolo da concrete misure di aiuto fino alle continue e ferme affermazioni della volontà di salvare la Grecia a qualsiasi prezzo. Ovviamente, era spinta da un forte interesse delle sue banche, trasformandolo però nel “interesse razionale” a salvare l’Unione. Poi Draghi ha ripreso questa affermazione di solidarietà incondizionata per quanto riguarda l’esistenza della moneta unica. Si evince da queste politiche concrete, come attraverso la tenuta del mercato interno europeo e la moneta unica si esprime oggi quella solidarietà fondamentale che i padri dell’Europa hanno pensato come “interesse razionale”. Non è questa una solidarietà piena, affettiva e tendenzialmente social-romantica come tanti se la immaginano, ma è quella adatta per realizzarsi a livello di uno “stile” politico-economico com’è quello dell’Eurozona. Qui non si tratta di atti di carità, ma di realizzare quel progetto comune in cui ogni stato membro si inserisce sulla base del suo “interesse razionale”. Ma ciò matura soltanto se ciascuno stato membro viene pienamente responsabilizzato per le proprie scelte politiche, e se quindi deve rispettare la stabilità della moneta senza la possibilità di aumentare sproporzionatamente il proprio deficit.
Quando Alfred Müller Armack ha cercato di individuare diversi “caratteri” o “stili” di ordine politico-economico, che dipendono dalle dimensioni morali, religiose e intellettuali di un determinato popolo, gli altri “padri” dell’economia sociale di mercato lo hanno contraddetto in maniera severa:
La capacità di unire le proprie finalità in un progetto sotto regole condivise di solidarietà basale non dipenderebbe dalle particolarità mentali di una nazione ma esprime una finalità comune che non uccide ma dà spazio alle particolarità nazionali. Probabilmente la verità sta in mezzo a queste due posizioni, perché come dimostra la nascita dell’Unione Europea, la base culturale dell’economia sociale di mercato non era tanto un’idea nazionale quanto la concezione cristiana della persona la cui dignità sta nella libertà e responsabilità individuale, di ogni individuo come anche di ogni stato a livello sovranazionale. In questo senso, bisognerebbe comprendere l’economia sociale di mercato sempre di più come “stile europeo” di ordinamento politico-economico.
Scoprire questa progettualità comune sarebbe quindi il primo passaggio affinché possa rinascere lo spirito d’inizio. Infatti, l’Europa ha lasciato l’epoca dei sogni romantici e deve presentarsi come unità competitiva a livello globale. Per questo è ora che si superino i litigi familiari interni e si scopri quella solidarietà come idea razionale che può salvare un’unione anche ormai datata.