Nel corso degli anni che hanno seguito la seconda guerra mondiale, abbiamo assistito periodicamente al sorgere di una nuova forte realtà economica che sembrava poter contrastare o superare il dominio degli Stati Uniti. È accaduto con l’Unione Sovietica, con il Giappone, con la Corea e, più recentemente, con i Bric (Brasile, Russia, India, Cina). Un vero e proprio boom ha caratterizzato l’espansione di questi Paesi che hanno fatto registrare tassi di crescita record per un periodo di tempo prolungato, per poi fermarsi, ad un certo punto, ed incontrare anche lunghe fasi di recessione. L’esempio più eclatante di questo trend è stato il Giappone, che solo recentemente ha dato segnali di inversione di tendenza.
Quello che mi interessa in questa sede, non è tanto ripercorre le varie esperienze, quanto osservare con occhio più attento l’economia che ancora oggi resta la più forte, quella Usa, e capire se davvero i competitor erano e sono eccezionali o se, forse, sono stati sottovalutati alcuni parametri.
Partiamo da un dato. Alla fine del 2012, l’economia americana era pari a 16 trilioni di dollari. Per avere un’idea delle dimensioni, basti pensare che era il triplo di quella giapponese e il doppio di quella cinese. Per raggiungere un valore equivalente bisogna aggregare a Giappone e Cina anche la Germania. In assoluto, soltanto l’Unione Europea nel suo complesso raggiunge un volume paragonabile, ma stiamo parlando di due realtà completamente diverse. Da un lato abbiamo una nazione, gli Usa, dall’altro un’unione monetaria di Paesi diversi con differenti velocità e performance.
Se passiamo dal dato complessivo a quello che riguarda il reddito pro capite, le differenze talvolta sono ancora più vistose. Gli Usa hanno una media nazionale di 50mila dollari. Se confrontiamo i dati elaborati da World Bank con quelli dei famosi Bric le cifre parlano chiaro: vanno da 1.400 dollari (India) a 5.000 (Cina) fino a 10mila (Russia e Brasile). Una distanza abissale ad oggi e difficilmente colmabile nei prossimi anni.
Un altro elemento che colpisce è l’evoluzione del Pil a livello mondiale dal 1970 al 2012 (fonte Real Historical Shared Values, US Dept of Agricolture).
Gli Stati Uniti in questo lasso di tempo sono passati dal 27,63% al 25,37%. Sostanzialmente stabili. La Russia è crollata dal 3,27% al 1,83%, il Giappone è sceso dal 10,07% al 8,76% e la Cina è volata dallo 0,76% al 8,41%. Chi è calato maggiormente? L’Europa a 27, che ha perso il 10% scendendo al 27,08%. Spesso nelle analisi che ci vengono sottoposte si enfatizzano i mirabolanti tassi di crescita dei Paesi in espansione. Vale la pena però riflettere su un dato. Gli Stati Uniti sono caratterizzati da un tasso di crescita storico del 3%. Certo, paragonato ai numeri a due cifre dell’economia cinese degli ultimi anni sembra un valore modesto.
Ma come ricorda con grande lucidità il direttore di Die Zeit, Josef Joffe in Perché l’America non fallirà, non possiamo tralasciare le dimensioni complessive del Pil. “Esprimiamoci con i numeri – dice Joffe –. A metà degli anni novanta, quando la crescita della Cina è passata a un 10 per cento costante, il suo Pil aumentava ogni anno di 200 miliardi di dollari. Nello stesso periodo, l’economia degli Stati Uniti valeva invece 12 trilioni di dollari e, pur crescendo solo del 3 per cento, il loro Pil incrementava di 360 miliardi di dollari all’anno. Anche se non ha grande velocità, il pachiderma compensa con la massa. E sebbene la velocità affascini, la massa conta di più quando si calcola il potere economico relativo”. In base a questa osservazione, il sorpasso cinese sull’economia americana (posto che la Cina possa continuare la sua crescita a livelli importanti) richiederà ancora molti, molti anni. Se mai ci arriverà.
Se a queste cifre aggiungiamo considerazioni sulla forza militare, il divario appare ancora maggiore. Nel 2011 gli Usa hanno speso 740 miliardi di dollari per la spesa militare, di fatto la metà dell’importo complessivo mondiale. La Cina viaggia tra un settimo dei dati ufficiali (circa 100 miliardi) e meno di un terzo se si fanno delle stime, elaborando i dati. Se entriamo nel dettaglio, gli Usa vantano dieci portaerei nucleari di classe superiore, oltre 3.500 velivoli da combattimento, 1.318 aerocisterne, 150 bombardieri strategici. Anche in questo caso il confronto con gli altri Paesi mette in luce distanze enormi e difficilmente colmabili in breve periodo, con una spesa militare che ammonta a circa il 4% del Pil e che assicura “il potere di far fare agli altri ciò che altrimenti non farebbero”.
“La scuola – sottolinea ancora Joff – che sostiene l’ascesa del resto del mondo ipotizza che domani sarà una riproposizione di ieri (con Paesi in forte crescita che vanno sempre più su, ndr), ma la storia ci insegna ad essere cauti. Una crescita rapida è fra le caratteristiche di ogni miracolo economico del passato. Eppure nessuno di questi Paesi (Gran Bretagna, Giappone, Taiwan, Corea, ecc.) è riuscito a conservare il ritmo prodigioso dei primi decenni, e alla fine tutti hanno rallentato, riducendosi a un tasso di crescita normale quando l’esuberanza giovanile ha lasciato il posto alla maturità”.
Forse ogni tanto vale la pena di mettere dei numeri sul tavolo, per capire un po’ meglio il mondo in cui viviamo o nel quale pensiamo di vivere.