I drammatici eventi del Medio oriente e del Mediterraneo rimettono allo scoperto le tendenze politiche e culturali di lunga durata dei partiti, in particolare quelle relative alla collocazione sullo scacchiere internazionale del nostro Paese, che la collocazione geofisica e la retorica geopolitica vuole orientato verso il Mediterraneo e il Medio oriente. Che l’Italia sia un ponte dell’Europa verso l’Africa e il Mediterraneo – e viceversa – ce lo ricordano ogni giorno i barconi tragici degli immigranti. Intanto, è un fatto che la politica estera italiana si trova sempre in imbarazzo, quando si riaccende il conflitto – per citarne uno – tra palestinesi e Israele. La politica del cerchio e della botte, applicata sistematicamente in tempo di pace fatta sugli armistizi, va in crisi, quando il conflitto si riaccende. 



È un imbarazzo che viene da lontano. La politica estera italiana è sempre stata più filoaraba che filoisraeliana. Un intreccio di interessi economici e geopolitici e motivazioni culturali ha generato questo indirizzo di fondo. Quanto ai primi, si deve solo ricordare la politica italiana del petrolio, di cui l’Eni di Mattei fu soggetto attivo e strumento, fin dagli anni 50 del ‘900, proiettata dentro un contesto geopolitico di competizione con inglesi, francesi e americani nel Mediterraneo e nell’intero Medio oriente. Del resto, solo la “miopia” politica delle classi dirigenti italiane aveva portato Giolitti a opporsi, in un primo tempo, all’intervento imperialistico italiano in Libia, con la motivazione che si trattava di un semplice e sterile “scatolone di sabbia”; e aveva indotto Mussolini, negli anni 30, a ritirarsi dagli investimenti petroliferi in Iraq, con le stesse motivazioni di Giolitti. La mancanza di petrolio sarà una delle cause tecniche della sconfitta militare. 



Ora, nel secondo dopoguerra, scoperta tardivamente l’importanza del petrolio per sostenere lo sviluppo industriale, in particolare quello dell’industria automobilistica, l’Italia era corsa incontro al mondo arabo, offrendo royalties molto più alte rispetto a quelle delle “sette sorelle” del petrolio. A partire dalla fine della prima guerra mondiale, il mondo arabo era passato dal secolare e un po’ distratto dominio ottomano al più sistematico imperialismo di rapina inglese e francese e aveva incominciato a esprimere i primi disordinati conati di liberazione nazionale, ribellandosi ai Mandati che la Società delle Nazioni aveva affidato agli inglesi e ai francesi nell’area. 



Inglesi, francesi e russi avevano usato un brutale compasso per tracciare frontiere artificiali, che spezzavano identità religiose, etnie, storie. Così era stato tracciato un Iraq, che aveva ottenuto l’indipendenza già dal 1919 – ma erano state soffocate le aspirazioni curde alla costituzione del Kurdistan – ancorché controllata dagli inglesi. La Siria dal 1920 era sotto Mandato francese. L’Iran aveva dovuto già dal 1906 fare i conti con truppe russe e britanniche, che erano poi intervenute anche nel corso della prima guerra mondiale. Tutta la fascia nordafricana era controllata militarmente da inglesi e francesi. 

Con la fine della seconda guerra mondiale e il costituirsi di un duopolio mondiale, con l’oggettivo indebolimento degli imperialismi minori, i movimenti di liberazione nazionale presero un nuovo slancio. L’Egitto, la Siria, l’Iraq, l’Algeria, la Tunisia, la Libia videro l’ascesa di una nuova classe dirigente, formatasi nelle caserme o nei movimenti di liberazione nazionale. Inglesi e francesi furono costretti in ritirata − l’ultima bravata, quella del bombardamento anglo-francese di Suez nel 1956, in contemporanea con l’occupazione sovietica di Budapest, in risposta alla nazionalizzazione del canale decisa da Nasser, era stata bloccata dagli Usa − mentre Usa e Urss entravano da protagonisti nell’area. 

La nascita dello Stato di Israele il 14 maggio del 1948 − dopo che l’Assemblea generale delle Nazioni unite aveva approvato con la Risoluzione n. 181 il 29 novembre del 1947 il piano di partizione della Palestina in due stati, uno ebraico e uno arabo – fu l’ultimo atto di collaborazione post-bellica di Usa e Urss. Va solo ricordato che la Gran Bretagna si astenne nella votazione, gli Usa tergiversarono non poco di fronte alla prospettiva di due Stati, mentre l’Urss trainò l’intera operazione, con l’evidente scopo di togliere di mezzo l’imperialismo inglese dalla Palestina, che era stata affidata al Mandato inglese il 25 aprile 1920. L’immediato attacco arabo, quando ancora lo  Stato di Israele non era ufficialmente costituito e la crescente egemonia del modello del “socialismo arabo” – una variante del modello sovietico di sviluppo: partito unico, dittatura statale e industrializzazione di base − spostarono a poco a poco il favore dell’Urss verso il mondo arabo. Una serie di colpi di stato, dall’Iraq alla Siria, all’Egitto, all’Iran – ma qui furono direttamente gli Stati uniti a rovesciare Mossadeq, che minacciava i proventi delle compagnie petrolifere anglo-americane − finì per inglobare il mondo arabo alla sfera di influenza sovietica. 

L’esistenza dello Stato di Israele non poteva più essere revocata, ma, al contempo, si appoggiavano gli Stati arabi, che volevano “gettare a mare” Israele. Dagli arabi e dai sovietici Israele fu investito progressivamente del ruolo di avamposto dell’imperialismo americano in Medio oriente. 

In Italia la Democrazia cristiana, divisa culturalmente tra un’ala filo-araba e terzomondista e un’ala più decisamente filo-americana, era tuttavia unita dalla tiepidezza verso il nuovo Stato di Israele. Ragioni contingenti a parte, influiva anche il millenario e duraturo antisemitismo cattolico (Fanfani aveva firmato il Manifesto della razza nel 1938) che solo il Concilio vaticano II incomincerà a rimuovere. Quanto alla sinistra comunista, non era mai stata antisemita. I comunisti Terracini, Emilio Sereni, Leo Valiani – comunista fino alla firma del Patto Molotov-Von Ribbentrop il 23 agosto 1939 − erano ebrei. Il 7 gennaio del 1946 era partito da Vado Ligure il motoveliero “Enzo Sereni”, che portava molti ebrei in Palestina. 

Benché l’intera operazione fosse illegale, sul molo stavano i reduci azionisti, socialisti e comunisti della Resistenza, schierati a protezione, in evidente accordo con il Mossad. Nell’immediato dopoguerra il Pci aveva fatto stampare dei manifesti sui quali campeggiava una nave in rotta verso la Palestina, con l’invito a raccogliere fondi per gli ebrei, e nel 1948 Terracini, a nome del suo partito, aveva chiesto l’immediato riconoscimento del nuovo Stato di Israele da parte dell’Italia.

(1 − continua)