Iniziamo, questa volta, con una conclusione. È la prosaica chiusura di una lettera scritta più di mille anni fa da papa Gregorio II:
“Data alle Idi di Maggio, nel terzo anno del nostro augusto signore Leone, da Dio incoronato imperatore [romano d’Oriente], nel terzo anno del suo consolato, nella seconda indizione”.
Capito, tra l’altro, da dove viene la nostra “data” e perché è necessariamente al femminile? Perché registrava il momento in cui una lettera veniva “affidata” al messaggero che (si sperava) l’avrebbe portata a destinazione.
Ciò che salta all’occhio è quanto si fosse lontani, a quel tempo, da un sistema di datazione universale. Si faceva del proprio meglio per essere chiari, ma esistevano diverse scuole di pensiero e nessun criterio era universalmente condiviso. Certo l’impero d’Oriente, qui utilizzato come punto di riferimento, era forse più stabile di tutti i regni europei messi insieme, i quali, tra invasioni e guerre civili, cambiavano mano continuamente; purtroppo, però, soprattutto con il passare degli anni e dopo che la lettera veniva archiviata, un lettore di cultura media avrebbe potuto non ricordare chi fosse esattamente quell’imperatore lontano, né quando avesse preso il potere.
Già nel VI secolo un dotto monaco residente a Roma, Dionigi il piccolo (“l’Esiguo”), aveva pazientemente ricostruito (seppure con un lieve errore) quale dovesse essere stato l’anno della nascita di Cristo e l’aveva proposto come criterio di datazione universale; purtroppo, però, l’idea era rimasta lettera morta.
Fu un grande storico anglico, Beda il Venerabile, a riproporlo, quasi due secoli dopo; egli aggiunse il concetto dell'”avanti Cristo” e decise di escludere un anno “zero”. Il criterio prese piede fino a diventare indiscusso per l’intera cristianità e poi per il mondo: dai tempi di Beda, ogni anno dell’era cristiana fu un anno del Signore (anno Domini). Così anche i posteri furono in grado di capire, ad esempio, che la sopracitata lettera di Gregorio II era stata “data” il 15 maggio del 719.
Il che ci dice, essenzialmente, due cose. Uno, Beda era un’autorità indiscussa in tutta Europa e la cultura anglosassone, che attraversava allora la splendida fioritura del “Rinascimento Nortumbrico”, era un faro di civiltà; i suoi monaci, tra l’altro, si erano lanciati nella fondamentale opera di rievangelizzazione dell’Europa settentrionale.
Due: per Beda si trattò più che altro di una scelta pratica, dettata da un’esigenza di uniformità e di chiarezza, sul cui significato simbolico magari non stette a riflettere più di tanto. Per lui era scontato che la nascita di Cristo fosse l’evento più rivoluzionario di tutti i tempi, immediatamente noto a tutti. Per lui era normale far parte della Christianitas, luce di speranza in un mondo in subbuglio.
Per noi magari non lo è. Proprio nei Paesi anglosassoni, infatti, si sta oggi sempre più facendo strada una terminologia diversa. Il politically correct imperante sta trasformando il “before Christ” (b.C.) in “Before Common Era” (BCE) e l'”anno Domini” (a.D.) in “Common Era” (CE).
Prurito intollerante e moderno (come al solito) verso il nome di Cristo? Anche, perché se ne elimina il nome; ma non solo. Nessuno può comunque negare l’importanza della nascita del Gesù storico per tutta la civiltà occidentale, né la chiarezza di quel punto di riferimento; tant’è che (pare) non si sognano di cambiarlo, come invece si tentò di fare durante la rivoluzione francese. Si tratta piuttosto di fastidio verso una terminologia che conferisce al personaggio storico di Gesù titoli “controversi”. Qui verte la diatriba: non tutti sono d’accordo che Gesù di Nazareth, l’oscuro falegname che in tre anni cambiò il mondo intero, sia l’unto del Signore (Christòs) e addirittura il Signore in persona (Dominus).
La nuova terminologia, in voga negli ambienti giudaici già a metà Ottocento, è diventata di uso comune in anni recenti, fino a sostituire ufficialmente quella di Beda, nelle scuole inglesi, nel 2002.
Da noi, per ora, la questione non è avvertita come un grosso problema e i termini tradizionali tengono ancora. Sarà mica che gli italiani percepiscano “Cristo” come un cognome? Speriamo di no.