Il modo con cui si sta dando la notizia del no di Regione Lombardia al finanziamento pubblico della fecondazione eterologa conferma che oggi la comunicazione di massa è sempre più segnata da censure autoritarie che meritano di venire contrastate vigorosamente. Comincio da qui, ma poi farò altri esempi perché sia chiaro che la posta in gioco va anche al di là del caso particolare.
In primo luogo, e a monte del caso specifico, viene negato il dibattito sulla sostanza della vicenda. In parole comprensibili a chiunque “fecondazione eterologa” significa che degli aspiranti genitori decidono di diventare tali utilizzando l’ovulo di un’altra donna e lo sperma di un altro uomo, che si sono procurati per l’occasione. Si può pretendere che una tale decisione sia indiscutibile? A buon senso direi proprio di no. Se però non è indiscutibile allora la si può discutere. Ebbene, è proprio questo che viene di fatto impedito. Come? Semplicemente negando qualsiasi spazio a tale discussione. Nei più diversi giornali e telegiornali tutte le notizie sono a valle della questione in sé. Della fecondazione eterologa non si discute, la si dà per un “diritto” scontato. L’unica questione sul tappeto è: chi la paga? E l’unica risposta accettata è: il servizio sanitario nazionale. E compare sullo schermo il presidente del Piemonte Chiamparino il quale, nella sua veste di presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, auspica senza alcun contraddittorio che il governo nazionale la includa nelle prestazioni definibili come Livelli essenziali di assistenza, Lea. Anatema dunque sulla Lombardia ricca e cattiva che si rifiuta di spendere di tasca sua migliaia di euro al colpo per mettere la fecondazione eterologa alla portata di tutte le borse. Farsi dei figli utilizzando in proprio materiali genetici di altri è qualcosa di essenziale per la propria salute? Nemmeno lo sbandierato “servizio pubblico” radiotelevisivo si preoccupa di dirci perché mai, e rispettivamente di dare voce a chi non è d’accordo.
Facciamo un altro caso, quello del “riscaldamento globale” della Terra. C’è il diffuso e indiscutibile convincimento che la Terra si stia riscaldando pericolosamente a causa del largo impiego di energia prodotta bruciando combustibili fossili. Non è vero: ha cominciato a riscaldarsi alla fine dell’Ottocento, tra l’altro non in modo lineare e nient’affatto in coincidenza con la grande crescita delle emissioni di anidride carbonica, che inizia soltanto dopo la seconda guerra mondiale. Anzi, dal 1945 al 1975 la temperatura globale scese tanto che all’inizio degli anni 70 si era lanciato l’allarme per il “raffreddamento globale”. La temperatura è poi a risalita fino al 1998, ma da allora è rimasta ferma, malgrado che le emissioni di anidride carbonica continuino ad aumentare. D’altra parte da quando se ne hanno dati, diretti o indiretti, risulta chiaro che la temperatura della Terra subisce nel tempo variazioni che non siamo ancora in grado di spiegare.
E’ indubbio però che nell’insieme non dipende affatto dalla presenza dell’uomo e da ciò che fa o non fa. Stiamo parlando di dati, di numeri, non di valutazioni. Eppure anche in questo campo il dibattito è chiuso. Il “riscaldamento globale” viene spacciato come una realtà certa della quale non si può discutere.
Facciamo un terzo caso: la presenza dell’uomo sulla Terra. Per i “verdi”, adepti del darwinismo estremo (in cui peraltro nemmeno Darwin si riconoscerebbe), tale presenza è un disturbo; anzi un’intrusione che provoca pesanti “impronte”. Con la sua intelligenza, con il suo spirito e quindi con la sua straordinaria capacità di adattamento l’uomo infatti sfugge alla selezione naturale. Quindi, darwinisticamente parlando, rovina tutto. C’è spazio sui media per chi desideri sostenere quanto peraltro è visibile a occhio nudo, ovvero che la natura non solo non è danneggiata ma anzi ha bisogno dell’uomo in quanto presenza consapevole e responsabile del creato? No.
Se insomma un luogo comune viene assunto nel pantheon dei mass media non c’è più scampo. Siamo al punto che bisogna combattere persino per riaffermare un principio che risale al diritto romano: audietur et altera pars. Si senta anche l’altra campana. Qualcuno comincia a rendersi conto che qui è innanzitutto in ballo la libertà?