Una inattesa e clamorosa conferma alla tesi della “pista inglese” nell’uccisione di Benito Mussolini e Claretta Petacci giunge a distanza di vent’anni da quando la formulai per la prima volta con una serie di articoli pubblicati sul settimanale Noi della Mondadori e sul quotidiano La Notte di Milano. 



La conferma giunge dalla pubblicazione integrale dei diari di Vanni Teodorani, famoso giornalista, storico fondatore e direttore dell’Asso di Bastoni, voluta, a cinquant’anni dalla sua scomparsa, dai figli Anna e Pio Luigi. Alcune parti del diario erano state rese note dall’autore sulle pagine dell’Asso di Bastoni.



Ma andiamo con ordine. Che significa “pista inglese”? In breve, significa che Mussolini fu ucciso per ordine di Churchill onde impedirgli di rivelare — qualora fosse sopravvissuto — gli accordi intercorsi tra i due per convincere Hitler a fare fronte comune contro l’avanzata dell’Armata sovietica che stava invadendo l’Europa. Il tutto provato dal famoso carteggio Mussolini-Churchill, finito anch’esso nelle mani del premier britannico. Le prove e la documentazione che avevo raccolto in anni di ricerche furono poi riunite nel mio libro La pista inglese (Ares, Milano, 2002), cui fece seguito Mussolini: the secrets of his death (Enigma Books, New York, 2004), il cui capitolo centrale aveva per titolo: “How the British beat the Americans” (“Così gli inglesi giocarono gli americani”).



Ebbene, oggi vedono la luce le memorie di Vanni Teodorani (Quaderno ’45/ ’46, Editrice Stilgraf, Cesena, www.stilgrafcesena.com), ove si legge che l’autore, a fine aprile ’45, partecipò ad una missione con lo scopo di raggiungere il Duce in fuga da Milano e consegnarlo all’Oss americano (Office of Strategic Services) d’intesa con i servizi segreti del Regno del Sud (il Sim, Servizio Informazioni Militari). 

Ma chi era Vanni Teodorani? Nato a Torino nel 1916, divenne un apprezzato giornalista fin dalla più giovane età e sposò Rosina Mussolini, figlia di Arnaldo, fratello del Duce. Partecipò, non ancora ventenne, alla guerra d’Africa come direttore del Corriere Eritreo e capitano di Cavalleria impegnato sul campo contro i ribelli. Assunse poi la direzione de La Prealpina di Varese, fu corrispondente di guerra nel corso del secondo conflitto mondiale (Capo Matapan ed altri storici eventi), aderì alla Rsi dove assunse l’incarico di capo della segreteria militare del Duce e sottocapo di Stato maggiore della Divisione San Marco, incaricato di numerose missioni in Italia e all’estero. Riuscito a nascondersi dopo la sconfitta del 25 aprile, tenne il diario che viene oggi pubblicato integralmente. 

Come scrive Giuseppe Parlato nell’introduzione al volume di memorie, “Teodorani aveva trattato con gli americani per la resa dei capi fascisti senza spargimenti di sangue. L’accordo, stipulato con l’agente Guastoni dell’OSS e con il comandante della Regia Marina Giovanni Dessy, prevedeva la creazione di una zona smilitarizzata di raccolta dei reparti fascisti in Val d’Intelvi“. Qui i vertici di Salò avrebbero atteso gli Alleati riuscendo così a sottrarsi alle vendette comuniste. Ma il piano fallì e lo stesso Teodorani, probabilmente per una spiata, fu catturato e violentemente malmenato dai partigiani “garibaldini”, “riuscendo poi fortunosamente ad evitare il plotone d’esecuzione“. 

Oggi finalmente” — si legge nel Quaderno di Teodorani — “posso sciogliere ogni dubbio. Mussolini, e tutti i Caduti del Nord, sono morti vittime, più che altro, delle discordie fra gli Alleati: occidentali contro sovietici, ma soprattutto inglesi contro americani. Il piano segreto USA per il recupero di Mussolini si innestava nella più vasta intesa imperniata sulle trattative di Wolff che prevedevano la regolare occupazione delle città abbandonate dalle truppe germaniche, senza consentire sedizioni di piazza. Tutto non funzionò sia per le intemperanze dei comunisti, e dei CLN da essi dominati, sia per l’equivoco contegno di Wolff che gettò disordine e scompiglio nelle nostre file. Saltarono così date e sincronia. Per esempio Milano, che doveva essere presa in consegna dagli americani il giorno 28 aprile, fu evacuata la notte del 26, e quando gli americani arrivarono, non fu più possibile rispettare il piano precedente, a tutto vantaggio dei bolscevichi“.

Più avanti, nel brano che ha per titolo “Il piano americano sul Duce”, Teodorani scrive: “Il piano USA, tenuto gelosamente segreto, prevedeva, con strana analogia con quanto era successo il 25 luglio 1943, la sparizione pressoché misteriosa di Mussolini. Ne era responsabile direttamente il colonnello Snowden, del Counter Intelligence Corps (CIC) dell’esercito americano. […] Egli avrebbe dovuto immediatamente avviarlo a un determinato campo di aviazione da dove sarebbe subito stato imbarcato per la Sardegna, con un volo sul tipo di quello del Gran Sasso. Nessuna notizia sarebbe stata diramata, di modo che il Governo di Roma, gli Alleati e le stesse autorità americane non interessate al piano non avrebbero, per il momento, saputo niente. Tutta l’operazione si basava sui servizi segreti americani operanti nella RSI e sulla Guardia di Finanza. […] Al Nord con i gladi, al Sud con le stellette, la Guardia di Finanza costituì sempre un organismo unico ed era perciò perfettamente normale che, nel mare magnum generale, si pensasse ad essa come a qualcosa di efficiente e fidato. Il compito di coordinamento generale tra Guardia di Finanza e americani, al fine di garantire un perfetto collegamento indispensabile alla buona riuscita di un piano così complesso, fu assunto dal nucleo speciale della GdF operante con il CIC, e personalmente dal suo comandante Emilio Lapiello“.

Che accadde, a questo punto?

Ancora Teodorani: “Quando il nucleo del CIC che doveva compiere la missione partì per il Nord, il capitano della GdF Emilio Lapiello, che tanta parte aveva avuto nell’organizzare e articolare il piano di salvezza del Duce e che avrebbe dovuto ricoprire una parte decisiva nella fase esecutiva, non poté partire con gli altri per un incidente stradale occorsogli sulla Roma-Napoli, che lo pose fuori servizio proprio nel momento cruciale. Si interruppero così i contatti diretti tra il CIC e la Finanza operante al Nord“. 

Chi causò l’incidente? Mistero. Comunque, un classico, nelle storie dei servizi segreti. Ma continuiamo a leggere il racconto di Teodorani: “Come è noto i partigiani di Dongo (“Bill” e “Pedro”, ndr), fermato il Duce, lo rimisero al più presto al brigadiere della Guardia di Finanza di Germasino, Antonio Spadea. Cosa successe, da quel momento? […] Ho assodato, senza tema di smentite, che quel sottufficiale della GdF doveva consegnare il prigioniero ad un tenente suo diretto superiore operante in quella zona. Ma il tenente, De Laurentis, in precedenza paracadutato dal Sud, non arrivò, o meglio, arrivò tardi. Nel frattempo, con l’intenzione di affidare tanto prigioniero ad una tutela più sicura e definitiva verso gli incombenti rossi, il brigadiere di Germasino aveva provveduto a consegnarlo al capitano Alleato che operava nel settore e che per primo aveva avuto notizia dell’avvenuta cattura».

Chi era quel capitano? A questo punto, Teodorani inserisce nel suo diario un titolo che parla da solo (“Bogomoloff e Albione imposero l’assassinio”) e scrive un memoriale che è uno straordinario documento storico e una clamorosa prova definitiva della validità della “pista inglese”. 

Leggiamo: “Quel capitano, però, non apparteneva al Secret Service americano, ma al servizio informativo britannico. L’errore del brigadiere era da prevedersi, giacché, per un normale sottufficiale della Finanza, gli Alleati erano un tutto: le stesse caratteristiche, gli abiti borghesi, l’accento inglese contribuivano ad alimentare una simile confusione. L’ufficiale in oggetto, preso in consegna il prigioniero, lo trasferì a nuova sede, sottraendolo al controllo della Guardia di Finanza, e quindi degli americani, e quando, con malcelata fretta (forse sapevano?) arrivarono i comunisti di Walter Audisio, di cui egli avrebbe avuto il dovere di impedire ogni movimento, non trovò di meglio che allontanarsi senza profferire sillaba. Quello che poi successe al Duce è noto, anche se vi sono ancora perplessità sul nome dell’effettivo esecutore materiale“. 

Quanto al Bogomoloff nominato nel titolo, trattasi del diplomatico sovietico che da Roma impartiva le disposizioni di Mosca a Togliatti, capo del Pci. Il quale, non a caso, nel discorso alla radio del 26 aprile diede per scontata l’uccisione di Mussolini previa semplice identificazione.

Non c’è dubbio. Vanni Teodorani aveva perfettamente intuito la verità: un accordo inconfessabile tra i comunisti e i servizi segreti inglesi per far tacere per sempre Mussolini, ma anche Claretta Petacci, al corrente di tutti i suoi segreti. Che poi, per rendere la messinscena più logica e più credibile, bisognasse fucilarne altri quindici sul lungolago di Dongo, è un elemento che non intacca il nocciolo della questione.

Ed ecco come Vanni Teodorani concludeva la sua ricostruzione dei fatti: “Ancora una volta, come in Spagna, come in Etiopia, dove il dirigente comunista Barontini organizzava bande ribelli contro di noi, l’Imperialismo inglese e il Komintern avevano agito in perfetta intesa, e gli sconfitti, eccezionale nuovissima alleanza, erano stati, insieme, gli italiani e gli americani».

Naturalmente, il Quaderno di Teodorani contiene numerose altre annotazioni su quel drammatico periodo della vita italiana. Molto opportuna la decisione dei figli di pubblicarlo nella sua interezza, affidandone l’introduzione ad uno storico di prestigio come Giuseppe Parlato.