LIPSIA — Il cardinale canadese Marc Ouellet è uno dei cardinali che alcuni vaticanisti avevano presentato come papabile nel marzo del 2013, quando è salito sul soglio pontificio papa Francesco. È certamente anche uno dei cardinali che conosce meglio la Chiesa sparsa in tutto il mondo. Ha raccontato di sé e della sua posizione teologica sul Concilio ecumenico Vaticano II, che ritiene essere forse l’avvenimento più grande del XX secolo, in un’intervista condotta da Geoffroy de la Tousche, un sacerdote dell’arcidiocesi di Rouen (Francia del Nord) uscita in francese nel 2012, ma pubblicata ora, con un’introduzione del 15 agosto 2014, dalla casa editrice fondata da Hans Urs von Balthasar, la Johannes Verlag: Auferbaut zum Leib Christi (“Edificato come corpo di Cristo”).
Ouellet nasce nel 1944 nella provincia del Quebec (Canada) in una famiglia di otto bambini, due sorelle e cinque fratelli. Il padre lavorava come forestale. Non ha mai conosciuto la “miseria”, ma una “certa povertà”. La sua vocazione sacerdotale è nata nel contesto di una famiglia cattolica di lingua francese, negli anni cinquanta, ma un vero incontro personale con Gesù accadrà nel seminario cattolico dei padri sulpiziani.
La sua vita come professore si svolge in tre ambiti culturali molto diversi: in Colombia, in America Latina, e nel Canada dell’ovest di lingua inglese e dell’est di lingua francese. Entra in contatto con la teologia della liberazione in America Latina, ma non si lancia in alcuna forma di attivismo sociale. Ritiene che il suo compito consista nel formare buoni preti, sia culturalmente che ecclesialmente. I suoi ambiti di ricerca possono essere riassunti con il termine di “teologia degli stati di vita del cristiano”, in cui ha giocato un ruolo decisivo il Christlicher Stand (stato di vita del cristiano) di Hans Urs von Balthasar.
Dapprima si è occupato dello stato della vita consacrata, poi, a partire dal suo lavoro nell’Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia a Roma, dello stato di vita matrimoniale. Una teologia sacramentale ed eucaristica sponsale è il cuore teologico del suo pensiero. Un buon sacerdote è un sacerdote che rappresenta lo sposo con il suo ufficio e con la sua vita. L’eucarestia è il grande dono sponsale di Cristo al credente, alla Chiesa. Gli sposi non sono insieme per superare la condizione di concupiscenza in cui si trova l’uomo, ma come immagine vivente del mistero sponsale di Cristo con la sua Chiesa, come si esprime san Paolo. La modalità di vita consacrata del laico sono una risposta a quell’incredibile atto di amore di un Dio che si dona gratuitamente, senza tenere nulla per sé.
Come vescovo ha lavorato in ambito ecumenico (segretario del Consiglio pontificio per l’unità dei cristiani, guidato dal cardinale Walter Kasper), poi come arcivescovo del Quebec e primate del Canada ed infine, sia durante il pontificato di Benedetto XVI che in quello attuale di papa Francesco, nella Congregazione per i vescovi, da lui diretta, che si occupa sia della nomina dei vescovi in tutto il mondo sia della gestione dei casi critici, come per esempio qui in Germania del vescovo di Limburg, Franz-Peter Tebartz-van Elst, che è stato duramente attaccato dai media tedeschi per una questione riguardante i costi del palazzo vescovile.
Marc Ouellet stesso fu attaccato, in modo duro ed arbitrario, dai media canadesi per la sua posizione sull’inizio (questione dell’aborto) e fine della vita (problema dell’eutanasia) e sull’insegnamento di religione nelle scuole. Il Canada attuale, a differenza di quello degli anni cinquanta, dell’infanzia di Marc Ouellet, è completamente secolarizzato. La legislazione sull’aborto, per fare un esempio, lo permette senza limiti. Per il cardinale la questione dei “valori cristiani”, e la lotta per arginare il secolarismo canadese, non sono mai stati una questione astratta, ma la difesa di ciò che permette quel contesto sociale e famigliare che lo aveva portato in seminario; era insomma la difesa del “cristianesimo”.
La lotta istituzionale per la famiglia, per esempio, era la difesa della possibilità di guardare a Cristo, come Colui che può edificare la nostra vita. In una società in cui gli uomini vivono come se Dio non esistesse e dove la famiglia viene duramente attaccata, solo lo sguardo al Cristo, crocifisso, disceso agli inferi (il tema teologico più profondo di Adrienne von Speyr e Hans Urs von Balthasar) e risorto è ciò che permette nella lotta per l’identità cristiana di non essere sommersi dallo sconforto. E’ significativo che in ogni luogo in cui Ouellet ha abitato e lavorato ci fosse sempre una cappella in cui adorare il Cristo eucaristico.
Pur non avendo avuto per così dire un’amicizia personale con Giovanni Paolo II, Marc Ouellet deve a quest’uomo (nella sua sopportazione e offerta del dolore) e pontefice moltissimo, sia filosoficamente, per la concezione della persona e per la “teologia del corpo” proprie del papa polacco, sia come “padre” che gli ha affidato compiti molto delicati. Anche Papa Benedetto XVI è presentato nell’intervista come un padre che ha saputo consigliarlo, per esempio, nei momenti difficili del suo ministero in Quebec. Questo rapporto di amore e obbedienza al papa, a Pietro, è come una roccia nella vita del cardinale canadese, che sa che “ubi Petrus, ibi ecclesia” e che solo nella Chiesa è possibile ultimamente vivere un rapporto integrale con il Cristo eucaristico.
Questo atteggiamento di fiducia nella dimensione petrina e ciò che gli permette di vivere con libertà anche la dimensione giovannea, personificata nell’incontro con la teologia della Von Speyr e di Balthasar. Il cardinal Ouellet è anche uno dei fondatori della Casa Balthasar a Roma, dedicata a Von Balthasar, Von Speyr e Henri de Lubac) guidata dal gesuita Jacques Servais (e sorta sotto il protettorato dell’allora cardinale Joseph Ratzinger) che negli ultimi decenni ha offerto a moltissimi giovani un prezioso aiuto nel discernimento del proprio stato di vita.
Il Vaticano II nella sua dimensione cristocentrica, viene affrontato nell’intervista in tutti i suoi aspetti più rilevanti: Chiesa come sacramento, popolo di Dio, vocazioni, evangelizzazione nella società globale, Sacra Scrittura, Liturgia — con attenzione anche ai problemi dibattuti attualmente, come quello della comunione ai divorziati che si sono risposati, che secondo il cardinale hanno ovviamente accesso all’Eucarestia, anche se devono limitarsi ad una comunione spirituale.
Del Concilio ecumenico Ouellet nell’introduzione parla come di un Concilio “che ha dato molto di più che una programma di riforma, ma ha definito in modo nuovo l’identità e la missione della Chiesa all’inizio del Terzo Millennio”. I papi sotto i quali ha servito la Chiesa come vescovo, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e ora papa Francesco, esprimono con il loro stile, per Ouellet, la missione ecclesiale voluta dal Concilio, in cui la Chiesa viene vista come “sacramento” di unione tra Dio e la famiglia del genere umano in un contesto di globale secolarizzazione. Papa Francesco, che nel giro di pochi mesi si è conquistato un uditorio mondiale con il suo stile — la Chiesa povera, liberata dai propri privilegi, che evangelizza con gioia fino alle periferie del mondo — è una modalità della missione dialogica della Chiesa nel mondo contemporaneo, voluta dal Concilio. Proprio questa “chiesa in dialogo” è la “missione ecclesiale” che il Concilio ha voluto affermare in prospettiva del terzo millennio. Un dialogo però non “nominalista”, ma ripieno di quella “sacramentalità” espressa dalla Lumen gentium nel suo primo capitolo: la Chiesa è segno dell’unione tra Dio e l’uomo ed ha come “sposa” di Cristo una sua certa “personalità”: non è solo il corpo del capo che è Cristo, ma per l’appunto la sua sposa, attenta con tutta se stessa ai desideri del proprio “sposo divino”, capace per grazia di dire al suo sposo: “fiat voluntas tua” e così di evangelizzare.
Per chi come Marc Ouellet sa del mistero del sabato santo, in cui la discesa di Cristo tocca il mistero dell’abbandono di Dio da parte di Dio, non vi è certo nessuna tentazione trionfalistica in questa missione della nuova evangelizzazione. Servire Cristo è sempre anche disponibilità alla “discesa”, quella discesa che è la caratteristica ultima dell’amore divino: una discesa, appunto, non un’ascesa platonica, se è vero che Cristo, “pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini” (Fil 6,6-7).