Caro direttore, in queste due settimane che sono trascorse dopo i sanguinosi eventi di Parigi e le doverose testimonianze a favore della redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo, tra le persone, sui media, nei salotti si è acceso il dibattito sulla tolleranza e sulla libertà di espressione. Philippe Ridet, corrispondente in Italia di Le Monde ha scritto che “la libertà di espressione non deve conoscere confini”. Simon Jenkins, giornalista di The Guardian ha affermato che: “colpendo la redazione del settimanale satirico francese, i terroristi hanno voluto attaccare i diritti e le libertà dei paesi democratici”. Fermo restando la condanna indiscutibile per un’atto così grave che ha tolto la vita a dodici persone e ferite undici, è anche giusto domandarsi se esistano dei limiti alla satira e all’espressione delle proprie opinioni. Se il rispetto degli altri ci debba imporre una linea di demarcazione tra cosa si può dire e cosa no. E’ evidente che il superamento di questa linea immaginaria non possa, in nessun modo, essere pagato con la vita. Ma è altrettanto vero che talvolta i toni andrebbero abbassati e sarebbe indispensabile ascoltare gli altri. Tentare di andargli incontro. Non per omologarsi, ma per conoscerli e capirli. Per comprenderli. Per imparare. E anche per dissentire.
“Ridurre al silenzio – scrive il filosofo John Stuart Mill ne La libertà – l’espressione di un’opinione è un male particolare, perché deruba la specie umana: deruba tanto i posteri quanto la generazione attuale, deruba chi dissente da quell’opinione ancor più di coloro che la condividono. Se l’opinione è giusta, li si priva dell’occasione di scambiare l’errore con la verità; se è sbagliata perdono un beneficio quasi altrettanto grande,e cioè quello della percezione più chiara, quell’impronta più viva della verità, che abbiamo quando ci si scontra con l’errore”.
Qualche giorno dopo rispetto alla tragedia di Charlie Hebdo, Emma Bonino, storica leader radicale e madrina di tante battaglie nel nostro Paese, annunciava a Radio Radicale di avere il cancro e di doversi sottoporre a cure intensive. Di fronte ad una notizia di questo tipo su alcune pagine Facebook e blog si sono scatenati i commenti più beceri e disumani quali: “purtroppo è il tumore che ha la Bonino” oppure “Speriamo sia la volta buona”. Ma che mondo vogliamo costruire? Ma come possiamo dire di essere migliori e più democratici degli altri se non sappiamo scindere il rispetto che si deve a ogni uomo a prescindere dalle sue opinioni, con le differenze di vedute?
“Con quale autorità – si domandava Roberto Casalini di Wired – condanniamo il fanatismo e il fondamentalismo islamico quando tutti i ragionamenti variamente antagonisti, dai no-tav agli anticasta, sono intrisi di odio tribale verso “l’impuro”, quando la forma monocellulare di ragionamento che veicolano è: chi non è come noi è l’infedele e va annientato?” Ed ecco emergere in tutta la sua forza il tema di cui tanto si parla, ma che poco entra nei comportamenti individuali. “Perché un governo non abbia il diritto di punire gli errori degli uomini – scrive Voltaire nel saggio Sulla Tolleranza – occorre che quegli errori non siano delitti; non sono delitti se non quando turbano la società; turbano la società non appena ispirano il fanatismo; quindi bisogna che gli uomini comincino a non essere fanatici per meritare la tolleranza”.
E’ questo che il passo che dobbiamo fare. Meritarci la tolleranza. Smetterla di essere fanatici. Da qualunque parte stiamo. E questo non può che passare da una riflessione su noi stessi. Dalla considerazione dei limiti della nostra libertà. “Le persone chiedono la libertà di parola come una compensazione per la libertà di pensiero che usano di rado” ricordava polemicamente il filosofo Søren Kierkegaard. “La mia libertà finisce dove comincia la vostra” è una delle celeberrime frasi di Martin Luther King. Dopo i fatti di queste settimane, secondo me, dovremmo riflettere. Rileggere le opinioni di tanti autori e pensatori, come ho cercato di fare io in queste poche righe. E pensare. Metterci, per una volta, dall’altra parte. “Il diritto dell’intolleranza è quindi assurdo e barbaro; è il diritto delle tigri; anzi, è anche più orribile, perché le tigri non sbranano che per mangiare, mentre noi ci siamo sterminati per dei paragrafi”. Era il 1763 quando Il Trattato sulla Tolleranza di Voltaire fece la sua apparizione in Francia. Francamente, non mi sembra che abbiamo fatto grandi passi avanti da allora.