C’è qualcosa di nuovo, oggi nel sole, anzi d’antico… E davvero c’è chi non si stanca, neppure dopo la bellezza di settant’anni, di ripetere le stesse cose, di mettere in dubbio il coraggio e soprattutto le sofferenze di 600mila ed oltre internati militari italiani che dopo l’8 settembre 1943 finirono nei campi di prigionia nazisti, definiti, appunto, dai tedeschi “Italienische Militär-Internierten“, in modo che non rientrassero nella convenzione di Ginevra del 1929 e, così, sottrarli all’assistenza degli organi internazionali e sottoporli al “castigo esemplare” che Hitler aveva promesso agli italiani.



Il motivo del dubbio e dell’assai poco velato disprezzo nei confronti degli Imi è sempre il solito: purtroppo fra questi soldati che rifiutarono di rimanere alleati dei tedeschi e, in seguito, di aderire alla Rsi c’era un tale Giovannino Guareschi, talmente inviso a tanti intellettuali e politici di ogni ideologia, da far mettere in dubbio innanzitutto la sua, di prigionia, ma di conseguenza anche quella degli altri Imi. 



Vi cito, come esempio, un exploit comparso sul Corriere dell’Alto Adige (edizione locale del Corriere della Sera) il 5 gennaio 2011, in un articolo a firma di Andrea Felis, consigliere Pd e docente a Bolzano. Felis ricorda nel pezzo Carlo Lazzerini, filosofo, anima del liceo classico bolzanino, scomparso pochi giorni prima, anch’egli internato militare dopo l’8 settembre, uscito dai lager polacchi con decine di chili in meno e la tubercolosi come dote. Bene, dopo aver giustamente tessuto le lodi di Lazzerini, che definisce «Un pezzo molto robusto di storia locale, che metteva anche soggezione: fra antifascismo vissuto e non ostentato, impegno sincero in campo democratico di sinistra», Felis sottolinea che, una volta tornato dal lager, Lazzerini «Ancora dopo tanti anni non nascondeva il suo disprezzo per Giovannino Guareschi, anche lui detenuto ma “di lusso”, sospettato di doppiogiochismo fra i soldati incarcerati». 



Ora, ammesso che l’affermazione sia realmente attribuibile al filosofo ex internato e non allo stesso Felis, arriva tardi: già nel 1949 Voce Comunista, settimanale della Federazione milanese del Pci, scriveva, in un articolo dal titolo “Padre Lombardi elogiò il Candido”: «Nel lontano 1945 si ricongiungeva a Milano un crocchio di umoristi che la guerra aveva diviso: Guareschi rientrava dalla prigionia in Germania, una strana prigionia che, invece di lisargli l’esistenza, lo aveva ingrassato e guarito dall’ulcera». 

Per fortuna, come ha già fatto nel 1949, a queste accuse può rispondere direttamente Giovannino, dalle pagine del Candido del 3 aprile: 

«Ora, dico la verità, sapevo che, ritornando avrei dovuto difendermi su tutto e perciò sono tornato ampiamente documentato, anche per quanto riguarda l’ulcera gastrica. Ma, stupidamente, non ho pensato che avrei dovuto difendere anche la mia fame. Non conoscevo ancora i comunisti italiani e perciò, pur essendomi pesato il giorno della liberazione ed essendo risultato diminuito di chilogrammi 35 nei 19 mesi di prigionia, non pensai di far stendere da apposita commissione un verbale di pesatura firmato da una decina di persone. Io oggi, per non figurare un profittatore di guerra, per togliere dalla pulizia e dall’onestà della mia fame l’ombra di sospetto derivante dall’affermazione del …………. che dirige “Voce Comunista” debbo procurarmi i documenti sufficienti per poter riempire lo spazio lasciato in bianco più sopra con la qualifica che merita il direttore di Voce Comunista». 

«Quindi io prego ogni mio compagno di prigionia che ancora si ricorda di me di scrivermi una lettera nella quale — non chiedo altro che la verità — precisi che io alla liberazione dalla prigionia ero più magro che alla cattura. E fate presto se no non potrò mai scrivere, al posto dei puntini, che il direttore di “Voce Comunista” è il più miserabile mascalzone che mi sia mai capitato tra i piedi. Per favore le lettere col peso! Io devo difendere coloro che per fame sono morti e coloro che per fame sono tornati con i polmoni bucati (come Carlo Lazzerini, ndr). Morti o tornati senza fracasso e senza pretese». 

Allora furono tanti gli ex Imi che inviarono lettere a Giovannino. Oggi ne sono rimasti molto pochi. Nelle due foto si può vedere un Guareschi ancora senza baffi all’ingresso nel lager polacco vicino a Czestochowa nel 1943 e nel 1944 all’arrivo a Sandbostel, stavolta con i baffi che si fece crescere proprio in prigionia. La differenza, crediamo sia lampante. Per fortuna, sebbene con il “consueto” ritardo che caratterizza le istituzioni del Bel Paese, c’è un’altra prova che la prigionia di Giovannino fu tutt’altro che corroborante: il 27 gennaio 2011, in Prefettura a Parma, è stata consegnata ad Alberto e Carlotta la “Medaglia d’onore”, conferita ai cittadini italiani deportati e internati nei lager nazisti, onorificenza concessa alla memoria dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. 

Se al professor Felis non bastassero le prove fotografiche, se non bastasse la medaglia d’onore all’ex Imi 6865, potrebbe magari servire una chiacchierata con Gianrico Tedeschi: grande attore, intellettuale e compagno di prigionia di Giovannino Guareschi. Come andarono le cose lo sa molto bene, lui.