Nell’ultimo anno Berlino è balzata sul podio delle capitali europee più visitate dai turisti. Il motivo? Il suo essere la “scatola nera” della memoria europea e delle sue contraddizioni.

Ho conosciuto Claus, un traduttore berlinese, nella sua veste di guida per turisti. È nato all’epoca dei primi lavori del muro che ha diviso la sua città e la sua famiglia. Gli zii erano rimasti a est e far loro visita era un’avventura ogni volta. All’inizio la metropolitana collegava est e ovest, ma in ossequio alla realpolitik il binario a est è rimasto morto per 30 anni. 



Intanto la città distrutta, lentamente, risorgeva. Dopo l’8 maggio 1945 Berlino era un cumulo di macerie perché la retorica nazista, come non prevedeva il pentimento, neppure prevedeva la resa. Così Eichmann, e tanti altri come lui, dopo le ultime deportazioni degli ebrei a Auschwitz, era corso a immolarsi alla “purezza ariana” nella battaglia di Berlino. Anche questa volta la sorte non fu dalla sua parte, com’ebbe a lamentarsi nel corso delle deposizioni fatte conoscere a tutto il mondo dalla Banalità del Male di Hannah Arendt, una donna il cui desiderio di comprensione non si assoggettò a nessuna retorica, neppure a quella delle vittime o dei vincitori. 



Mentre i pensieri corrono, Claus fa cenno di fermarsi: “siamo nella Bebelplatz, la vecchia piazza dell’Opera. Ora guardate a terra in questa finestra …”. Una finestra di cristallo permette di guardare qualche metro più in basso, dove è allestita una biblioteca sotterranea con gli scaffali bianchi, immacolati e vuoti a ricordare il rogo dei libri del 10 maggio 1933. Convocati da Goebbles 40mila studenti bruciarono cataste di libri per iniziare una nuova era — cito dal discorso del ministro della propaganda che incantava la folla con la retorica alata, violenta e vuota che ipnotizzò un’intera nazione: “L’uomo tedesco del futuro non sarà più un uomo fatto di libri, ma un uomo fatto di carattere. È a questo scopo che noi vi vogliamo educare. Come una persona giovane, la quale possiede già il coraggio di affrontare il bagliore spietato, per superare la paura della morte, e per guadagnare il rispetto della morte”. Claus si allontana di qualche passo e non commenta. Il nazismo è una memoria che pesa anche per chi è venuto dopo e con quella storia non ha nulla a che fare.



Nella sua tracolla Claus tiene il Moby Dick di Melville. Dice che gli serve per scrivere un articolo sul nazismo. E’ una sua ricerca personale, ma non troppo perché ogni tedesco se lo domanda come la nazione sia rimasta vittima di un così immane esperimento ipnotico. Allora Melville torna utile. Scritto nel 1851 Moby Dick si è affermato come capolavoro della letteratura statunitense e mondiale solo alcuni decenni più tardi. 

In Italia fu tradotto per la prima volta da Cesare Pavese nel 1932, un anno prima dell’avvento del nazismo (dieci anni dopo la marcia su Roma) e una seconda volta nel 1941, in pieno conflitto. Pavese scrisse che tradurre Melville serviva “a tenersi al passo coi tempi”, ma non specificò se la sua osservazione fosse meramente letteraria o fosse a più ampio raggio.

Per Claus il capitano Achab è il grande ipnotizzatore: è dalla sua retorica e dalla sua propaganda che occorre mettersi al riparo. Offeso nel suo corpo, Achab ha esibito la sofferenza della perdita della gamba per conquistare l’equipaggio alla sua “disumana sete di vendetta”. Per giorni interi non lo si vede, ma di notte il rintocco diseguale della sua camminata sul ponte del Pequod cattura l’attenzione dei marinai semi assopiti, meglio di come farebbe il pendolo di un ipnotista. Solo il primo ufficiale Starbuck resiste alle sirene del delirio di Achab, ma alla fine anch’egli trascina se stesso e i suoi marinai nel fatale ultimo attacco alla balena.

Mentre ascolto la guida berlinese, ricordo che Freud per spiegare la psicologia delle masse ricorre all’ipnosi e all’innamoramento per il capo. Fenomeni che ben conosceva, la prima per averla utilizzata all’inizio della sua carriera e il secondo per averlo studiato attraverso il transfert. Entrambi esigono l’annullamento della volontà individuale, la super valutazione dell’amato e del capo e la sottomissione completa. Freud abbandonerà presto l’ipnosi riconoscendosi (come spesso gli succedeva) nelle ragioni del paziente che, a buon diritto, difende la propria individualità. Da questa importante correzione ricaverà una cura del pensiero e del desiderio — compreso il desiderio di sottomissione — basata sulle libere associazioni: la considero l’omaggio quotidiano alla libertà da parte di un ebreo “positivista impenitente”.

A Posdamer Platz, oggi il centro della Berlino riunificata, Claus si congeda, saluta e offre le ultime indicazioni: “alle vostre spalle i nuovi palazzi con i moderni centri commerciali, più avanti, a dieci minuti a piedi, il monumento alla memoria della Shoah”. Il monumento si compone di 2711 grandi stele di cemento organizzate a mo’ di labirinto, dove un uomo addentrandosi sparisce. Vado avanti. Vado a vedere dove la mistica della sottomissione a un führer ha fatto sparire sei milioni di uomini.