In un articolo pubblicato il 21 gennaio sul Corriere della Sera in occasione del Giorno della Memoria (27 gennaio di ogni anno), due noti ed apprezzati editorialisti, Ricardo Franco Levi e Alberto Melloni, pongono una serie di “Domande scomode sull’antisemitismo” (questo il titolo del loro editoriale) che ancora — purtroppo — sussiste nella nostra società. Il che è vero. Ed auspicano l’avvento di “una conoscenza più vera della storia, delle storie, delle responsabilità. Per superare gli stereotipi, le visioni rassicuranti, le verità di comodo: quelle degli italiani brava gente, delle leggi razziali fasciste come frutto dell’obbligato accordarsi all’alleato nazista, della Chiesa avversaria del regime e impegnata, sotto la guida di Papa Pio XII, a difesa e a protezione degli ebrei”. Dunque, ci risiamo. La Chiesa e il Papa difesero gli ebrei? Neanche per sogno: una balla, uno stereotipo, una “verità di comodo”.
Avendo dedicato un bel po’ del mio ormai lungo tempo a scrivere O la Croce o la svastica. La vera storia dei rapporti tra la Chiesa e il nazismo, uscito quattro anni fa per la Lindau di Torino, non posso restare indifferente di fronte a queste reiterate polemiche, che non accennano a placarsi, sull’atteggiamento di Papa Pacelli verso la persecuzione antiebraica. Scrissi quel libro perché, nel mio archivio di giornalista di lungo corso, avevo materiali anche inediti che non potevano più restare tra le carte polverose. E che mi misero nelle condizioni di porre finalmente un punto sicuro sulla vicenda. Quel punto sicuro consiste nel fatto che la Chiesa cattolica fu la più eroica, la più determinata, la più intransigente comunità ad opporsi alle follie razziste e alla persecuzione antiebraica. Con il risultato di salvare — conti alla mano — non meno di un milione di ebrei in tutta Europa, e con un tragico conto da pagare al Terzo Reich, consistente in non meno di 4mila religiosi immolatisi in nome della fede e della giustizia, e sterminati nei lager nazisti.
Il primo religioso tedesco a finire in un lager fu il gesuita Josef Spieker. In una predica a Colonia, nel 1934, aveva esclamato: “La Germania ha un solo Führer ed è Cristo!”. E il primo ad essere eliminato dai nazisti fu monsignor Bernard Lichtenberg, arciprete della cattedrale di Berlino: aveva pregato assieme ad un gruppo di ebrei. Non fu che l’inizio di una sfida senza equivoci che si concluse con il sacrificio di quattromila sacerdoti e religiosi cattolici. Alla guida di questa eroica impresa, due grandi pontefici: Pio XI e Pio XII.
Ho l’ambizione di aver raccontato la vera storia dei rapporti tra la Chiesa e il nazismo illudendomi così di chiudere definitivamente la disputa sui presunti silenzi di Pio XII, il papa che Reinhard Heydrich — il promotore della “soluzione finale del problema ebraico” — in un rapporto segreto aveva definito “schierato a favore degli ebrei, nemico mortale della Germania e complice delle potenze occidentali».
Nel libro raccontai anche i due enigmi che ancora avvolgono la vicenda di Claus Von Stauffenberg, l’ufficiale che il 20 luglio 1944 tentò di uccidere il Führer: se cioè sia vero che il colonnello, fervente cattolico, prima di collocare la bomba si confessò dal vescovo di Berlino, ne ottenne l’assoluzione e si comunicò; e se si possa affermare che il Vaticano fu preventivamente informato dell’Operazione Valchiria.
Altri capitoli furono dedicati: alle donne tedesche che si batterono per la fede e la carità contro l’antisemitismo nazista; ai non pochi ebrei, anche famosi, scesi in campo in difesa di Pio XII, un papa ingiustamente diffamato; ed anche, per una informazione completa ed obiettiva, ai sacerdoti e monsignori che si schierarono a fianco di Hitler.
Del resto, le vere intenzioni di Hitler nei confronti del cattolicesimo si erano manifestate fin dall’inizio della dittatura. 1° febbraio 1933: presa del potere e impegno formale a “proteggere fermamente il cristianesimo”. Poco dopo, seguendo l’esempio di Mussolini, Hitler firma il concordato con la Santa Sede. Ma ben presto rivela le sue vere intenzioni. Una serie di soprusi e violenze ai danni della Chiesa cattolica tedesca spinge Pio XI a promulgare l’enciclica Mit brennender Sorge. L’assassinio del presidente dell’Azione Cattolica di Berlino segna l’inizio di un’autentica persecuzione: soppressione delle scuole cattoliche, chiusura della stampa confessionale, arresto dei suoi direttori, ondata di processi-farsa contro il clero. In Austria, dopo l’Anschluss, si arriva al saccheggio e all’incendio delle scuole cattoliche e del palazzo arcivescovile. Negli stessi anni, una persecuzione ancora peggiore, caratterizzata da un atroce spargimento di sangue, colpisce il clero cattolico nella Spagna repubblicana, dove l’esercito si è ribellato al governo filocomunista spalleggiato dalla Russia sovietica, dando inizio alla guerra civile.
In Germania, fu Clemens von Galen, futuro beato, vescovo di Muenster, ad assumere un ruolo fondamentale nello schierare la Chiesa cattolica tedesca contro la dittatura nazista. Accanto a lui, il vescovo di Berlino, Konrad von Preysing, suo cugino primo. Furono essi a dare inizio ad una lotta senza quartiere, da parte delle organizzazioni cattoliche, contro Alfred Rosenberg e il suo Mito del XX secolo, il razzismo. Il segretario di Stato vaticano, Eugenio Pacelli, già nunzio apostolico in Germania, inviò ben settanta note di protesta al governo di Hitler mentre i vescovi tedeschi, riuniti alla conferenza di Fulda, pronunciarono una condanna definitiva nei confronti del “neopaganesimo del sangue e della razza”.
Del pari, parole inequivocabili di condanna del nazismo erano contenute nei due radiomessaggi pronunciati dal pontefice in occasione del Natale del 1941 e del Natale 1942. Ma già nel 1939, allo scoppio della seconda guerra mondiale, con l’enciclica Summi Pontificatus, Pio XII si era schierato apertamente in difesa degli ebrei. E quando era ancora segretario di Stato, aveva pubblicato alcuni articoli dedicati al nazismo su L’Osservatore Romano, in uno dei quali aveva scritto che il partito di Hitler non è “socialismo nazionale”, ma “terrorismo nazionale”.
Un capitolo a sé è quello che si occupa della sorte degli ebrei ungheresi deportati nei lager. Avuta la certezza della terribile fine che li attendeva, Pio XII giocò la carta dell’ammiraglio Horty, reggente d’Ungheria e a lui devoto, per cercare di salvare 300mila persone, appunto i componenti della comunità ebraica di quella nazione ancora formalmente indipendente. Le sue note restano quali veri capolavori di diplomazia ma anche di fermezza. Horty trovò la forza di resistere ai “protettori” nazisti, ma fu fatto prigioniero dai tedeschi e obbligato a trasferirsi in Germania. Tutto fu inutile. I prigionieri ungheresi furono sterminati in 15 giorni nelle camere a gas di Auschwitz.
Questi, ed altre decine di elementi di prova della tenace azione svolta dalla Chiesa contro il nazismo non sono bastati a sgomberare il campo dai dubbi e dai sospetti. Così come non sono bastati i dieci libri che suor Margherita Marchione ha dedicato a raccogliere e catalogare le prove del soccorso prestato da Pio XII agli ebrei. Il Congresso mondiale ebraico ha infatti chiesto alla Chiesa di bloccare la causa di beatificazione di Pio XII, e allo Yad Vashem non è ancora stata rimossa la scritta che lo diffama. Eppure è provato che un milione di ebrei si salvarono grazie alle sue iniziative. A cominciare dai 5mila nascosti nei conventi, nelle case religiose della capitale e a Castelgandolfo, durante la razzia nazista dell’autunno ’43 nei quartieri ebraici di Roma.
Ma tanti ebrei, anche famosi, si sono schierati in sua difesa: Albert Einstein, Golda Meir, Martin Gilbert, Michael Tagliacozzo, Gary Krupp, Elio Toaff, William Zuckermann. L’auspicio è che il loro esempio possa essere seguìto da intellettuali del livello di Levi e Melloni.