Mercoledì 21 aprile 1954, all’indomani della sentenza che condannava Giovannino Guareschi ad un anno di carcere per diffamazione nei confronti di Alcide De Gasperi, il quotidiano Il Secolo d’Italia pubblicava l’indizione di un referendum popolare dal titolo “Guareschi non deve andare in galera!” Si invitava l’opinione pubblica a pronunciarsi contro il carcere a Giovannino, inviando telegrammi e cartoline, con nome e cognome del mittente. 



È, da subito, un plebiscito e non solo fra i simpatizzanti del Movimento Sociale Italiano, di cui Il Secolo d’Italia è organo ufficiale: sono tantissimi gli italiani che rispondono all’appello, gente semplice e personaggi famosi, tutti convinti, al di là dell’ideologia e dell’appartenenza politica, che sia un’ingiustizia imprigionare Guareschi. Nell’archivio di Roncole Verdi ci sono dieci scatole di legno (nella foto), decorate da un lato con il tricolore, dall’altro con la testata del Secolo, contenenti le 200mila testimonianze di italiani e stranieri a favore di Giovannino e c’è un album, proveniente dalla redazione del Secolo d’Italia con tutti i ritagli di stampa che riportano le adesioni al referendum pro Guareschi libero. Già il 27 aprile scrivono Sophia Loren, che si rivolge direttamente a De Gasperi: «On. De Gasperi: non c’è bontà senza giustizia. Ma la giustizia supera la bontà?» e Gino Cervi: «Io, Peppone, creatura di Guareschi, desidero che il mio creatore non vada in galera».



Il 29 aprile arriva una lunga lettera di Walter Chiari, che conclude: «Lasciate libero Guareschi tra i suoi figli e i suoi fogli. Rimpiangerà l’Anno Neutro. È la miglior vendetta». Gli fa eco Lucia Bosè: «I giudizi di Walter sono sempre “chiari”. Mi unisco pertanto alla sua dichiarazione». Arriva direttamente in redazione con la propria adesione anche il campione ciclista Fiorenzo Magni. Il giorno dopo arriva la lettera di Fernandel che si unisce a Gino Cervi Peppone, inviando l’adesione di don Camillo: «[…] in favore della clemenza per il nostro amico Guareschi. Con simpatia. Fernandel». Giungono anche le adesioni di Eleonora Ruffo e Delia Scala; il 5 maggio scrive Carlo D’Apporto: «Per me Guareschi è “Candido”». Il giorno dopo è Lea Padovani a inviare la propria adesione scrivendo affinché «Giovannino Guareschi, autore del simpaticissimo libro “Don Camillo” possa continuare a vedere il sole per intero e non a scacchi». Il 7 maggio scrive anche la grande Emma Gramatica: «Sono una fedele lettrice di Candido. […] Non mi permetto di giudicare una sentenza, ma sarei lieta che un giusto intervento potesse cancellarla». 



Arrivano adesioni anche d’oltre Oceano: il referendum acquista proporzioni che neppure i promotori si sarebbero mai immaginate. L’11 maggio aderisce l’attrice Lia Amanda. Mancano pochi giorni all’ingresso di Giovannino in San Francesco e arrivano la lettera di un militare americano e di un bambino di “quasi nove anni” che chiede a De Gasperi: «[…] invece di mandare in prigione Guareschi ridate il posto al mio papà e a tanti altri papà. Così io e tanti altri bambini finiremo di soffrire».

Arrivano adesioni dal Canada e, addirittura, dal Pakistan: cosa, per i tempi, incredibile. Evidentemente c’era, e ben attivo, un “passaparola” internazionale in favore di Giovannino. Il 27 maggio, poco più di un mese dopo l’avvio del referendum, il direttore Franz Turchi, a nome del Secolo d’Italia consegna le dieci scatole a Giovannino: dentro ci sono 200mila testimonianze a suo favore. Una media di 5.555 al giorno! «Quello che avete fatto voi del Secolo — dice Guareschi al direttore — non lo dimenticherò mai; è stata una cosa grossa, grossissima, la più grossa di questo desolato e vigliacco dopoguerra». Ma, nonostante questo, Giovannino in galera ci volle andare lo stesso: «È una cosa da niente. Vado e tra un anno ritornerò».