Sono sempre le persone, le libere insorgenze di persone che si uniscono, si aggregano, sentono di aver caro un luogo — una pieve, un’abbazia, un ospedale, una scuola — e lavorano fervidamente per esso, sono sempre queste persone che fanno cambiare, nel profondo, i luoghi di cui si prendono cura. Se viaggiate per l’Italia, potete incontrare centinaia, migliaia di queste preziosissime libere insorgenze che diventano associazioni, comitati, fondazioni, cooperative, parrocchie. Sono preziosissime perché, con la loro stessa testimonianza, dimostrano che la forza scompaginante che motiva i cambiamenti, ben prima delle istituzioni, dei governi e delle autorità, è la libera determinazione degli individui. E’ la loro convinzione. 



Diceva giustamente don Giussani che “l’ambiente proprio della libertà è la convinzione” (da Il cammino al vero è un’esperienza). Di città in città, di comune in comune, attorno ad esempio al patrimonio storico-artistico, fatto di una tessitura incredibile di chiese, santuari, crocicchi, tabernacoli, palazzi affrescati, si addensano comunità di persone che dicono ai luoghi che amano: “Noi vi daremo memoria, noi vi daremo futuro”. Ecco, queste migliaia di realtà, che a volte sono piccolissime, embrionali, a volte sono ben solide e strutturate, riescono a ravvivare i luoghi d’arte con una forza di attrazione, di desiderio, di sperimentazione, di cui nessuna istituzione è finora in grado. “Dire ti amo significa dire tu non morirai” scriveva Paul Claudel, ed è proprio così: una persona è viva nell’atto del tuo amore, della tua attenzione. Così accade anche per i luoghi e per l’arte: una basilica è viva, nelle sue arcate, nei suoi bassorilievi, nelle sue pale d’altare, soltanto nel momento della nostra attenzione, della nostra cura verso di essa. “L’amore è la durata dell’attenzione” scriveva non a caso Simone Weil. In questo senso, il patrimonio non è un insieme di opere d’arte, ma un insieme di attenzioni. Soltanto nel momento in cui ti impegni per una realtà, essa si accende di vita, non solo per te, ma anche verso coloro con i quali vuoi farne comunione, condivisione.



Matera rappresenta l’esempio più epocale di una rinascita sorta, alimentata, cresciuta non grazie alle istituzioni, ma alle persone. Nei primi anni Cinquanta Matera era la vergogna d’Italia: lo Stato e le istituzioni decisero di evacuare quel grumo impastato di rocce, grotte, stalle, cucine, abitazioni, chiese, dove vivevano in condizioni fatiscenti circa 16mila persone, tra contadini, pastori, legnaioli, operai, religiosi, in un contesto sanitario e culturale che in letteratura hanno descritto con pulsazioni e sguardi diversi scrittori come Carlo Levi, Rocco Scotellaro, Giuseppe Brancale. Nell’Italia che stava risorgendo e pian piano conoscendo il benessere e poi il boom economico, Matera era considerata la feccia del paese.      



Così mentre lo Stato sgomberava quel luogo ritenendolo perduto, per alloggiare i residenti in nuovi quartieri, c’è stato un gruppo di giovani, capitanato da Raffaello De Ruggieri (oggi sindaco ottuagenario della città), che fondarono l’associazione “Il Circolo La Scaletta” nel 1959. Avevano un preciso scopo: non lasciare che morisse desertificato, spopolato, il luogo che più amavano al mondo, la città della loro vita. Avevano tutti contro: l’indifferenza delle istituzioni, la contrarietà dello stesso Stato (Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi furono i propositori più in vista dello sgombero forzato dai Sassi di Matera). La direzione di marcia della Storia che spingeva affinché gli italiani, riconosciutisi in una nuova Costituzione repubblicana, abitassero e sognassero di abitare in ambienti nuovi, più confortevoli, non consumati. 

Nonostante il corso delle cose fosse avverso, questi giovani de La Scaletta iniziarono a censire le chiese rupestri presenti nella città oramai spopolata: nel 1966 fu pubblicato il primo libro significativo de La Scaletta Le chiese rupestri di Matera, in cui si dava menzione di alcune delle circa 150 cavità o grotte adibite al culto, tra la città e la Murgia circostante, che si sono stratificate nel tempo, dai primi habitat rupestri dell’VIII-X secolo alla cittadella fortificata normanno-sveva che fu Matera tra XI e XIII secolo, dagli sviluppi rinascimentali tra Quattrocento e Cinquecento agli slanci barocchi del Seicento e del Settecento. Iniziarono, come fanno tutt’oggi migliaia di parrocchie o associazioni, a restaurare la Cripta della Madonna delle Virtù a proprie spese, iniziarono a proteggere e a studiare la chiesa di San Nicola dei Greci, nel 1963 riportarono all’attenzione pubblica quel capolavoro di silenzio e inquietudine espressiva che va oggi sotto il nome di Cripta del Peccato originale. 

Col tempo progredirono nelle attività, nei contatti, nelle ricerche storiografiche, nelle proposte per il recupero del centro cittadino dei Sassi. Intanto nel 1966 allestiscono nel Salone Napoleonico di Brera a Milano la prima mostra sulle chiese rupestri. Non è un’associazione di ingenui volenterosi, anzi nel ’68 danno alle stampe uno studio di settore sugli insediamenti civili e religiosi nella Gravina di Matera. Passano gli anni, i decenni, e il lavoro di recupero e di riqualificazione del centro di Matera è ancora lontano da farsi, ma il laboratorio de La Scaletta è fervido, riesce ad attrarre l’attenzione del neonato ministero dei Beni culturali, fondato da Spadolini nel 1974, e nel 1982 esce un altro volume di riferimento: Conservazione ed evoluzione, proposte di riuso dei complessi edilizi religiosi e laici del centro storico di Matera

E così pian piano, da gruppo di giovani “visionari” divennero i tecnici più preparati nella tutela e nello studio di quanto la città poteva ri-offrire qualora venisse, come è accaduto, lentamente riabitata. E’ la storia dei nostri anni: la spinta iniziale, avventurosa, si è poi istituzionalizzata, con la successiva realizzazione nel 1998 della Fondazione Zetema. 

Da città-bestiame, da città perduta (Pier Paolo Pasolini, nel suo amore visceralmente ideologico, voleva forse che restasse per sempre al suo stadio pre-moderno, pre-globalizzazione, come voleva per Sana’a in Yemen), Matera è divenuta nei decenni una città di riferimento, Capitale europea della Cultura nel 2019. Si arriva con difficoltà in questa città, il percorso delle chiese rupestri deve essere ancora strutturato (per arrivare alla Cripta del Peccato originale ci sono ancora molte ingenuità da superare); ma se Matera non diventa presepe di se stessa, come è accaduto ahimè a Firenze, potrà finalmente essere ricordata come la città dove si è sviluppato il laboratorio politico culturale più interessante nell’ultimo mezzo secolo nel paese: un laboratorio dove la persona e i suoi desideri non sono stati repressi o contenuti, ma al contrario alimentati in una grande sfida di comunione e di rinascita di uno dei luoghi più strazianti del pianeta.


Questo intervento, nelle sue linee guida, è stato fatto al Tempio di Adriano a Roma, il 10 ottobre, all’interno del Piccolo Festival dell’Essenziale, diretto da Davide Rondoni.