“Un valore, il solo fatto di stigmatizzare un comportamento negativo, diventa rilevante. Significa porre la questione su un piano etico, cominciando a cambiare mentalità: è la sanzione reputazionale, che nei Paesi anglosassoni è ritenuta più efficace delle multe e delle condanne penali, mentre da noi è considerata un dato di serie B”.



A parlare è Raffaele Cantone, già pubblico ministero alla Direzione distrettuale antimafia, magistrato della Cassazione e presidente dell’Autorità anticorruzione, nell’interessante libro Il male italiano scritto col giornalista Gianluca Di Feo. Lo scritto ripercorre la storia recente del nostro Paese e il suo male atavico: la corruzione. Questo cancro, che torna costantemente e rappresenta, alla fine, uno degli elementi costitutivi soprattutto del sistema degli appalti, limita la crescita e non ci sta consentendo di fare quel salto in avanti che potenzialmente potremmo fare.



L’istituzione presieduta da Cantone sta cercando di instaurare una cultura della trasparenza della pubblica amministrazione e dell’etica dei comportamenti individuali che richiederanno del tempo, ma potrebbero davvero far fare un passo in avanti decisivo all’Italia. Il rispetto delle regole come valore, per riprendere la citazione del libro, è il cuore del problema. Fino a quando riterremo di essere al di sopra delle regole o che le regole riguardino gli altri e non noi, non riusciremo a cambiare.

Nei giorni in cui leggevo questo libro, mi è capitato, come succede spesso, di prendere un aereo per andare a Roma. Accanto a me un signore distinto. In giacca e cravatta. Chiaramente in trasferta di lavoro. E’ salito, si è seduto accanto a me dotato di iPad e smartphone con tanto di cuffie per ascoltare la musica. Dopo le rituali operazioni di bordo, siamo stati invitati a spegnere tutti gli apparecchi elettronici. Io ci ho messo due secondi. E normalmente ho almeno tre apparecchi da spegnere. Il manager di fianco a me ha ignorato le istruzioni, fino a quando (a tempo abbondantemente scaduto) è stato redarguito dallo steward che gli ha imposto lo spegnimento di ogni terminale. Mi sono limitato a guardarlo male e ad esclamare un “Mah!” che esprimeva tutta la commiserazione per un comportamento irrispettoso e stupido. Ma il bello doveva ancora venire. Non appena è stato annunciato che si potevano riattivare i dispositivi precedentemente impostati in modalità “volo aereo”, lo “scienziato” al mio fianco si è rianimato. Ha acceso tutto quello che poteva accendere e non l’ha più spento (ovviamente non era in modalità volo aereo) fino ad atterraggio avvenuto, nascondendo il tablet al passare del personale di bordo. Al secondo giro di trasgressione, non l’ho neppure considerato. Ho avuto la tentazione di insultarlo, ma poi ho desistito. Ho cercato di vedere se stesse leggendo dei documenti importanti di lavoro. Non sarebbe stata una giustificazione, ma almeno un’attenuante. No. Stava leggendo un romanzo in inglese. 



Cosa c’entra tutto questo con l’immane opera nella quale si sta cimentando Raffaele Cantone con la sua squadra? E’ molto semplice. Se non cominciamo a rispettare regole semplici e banali come quella appena descritta, come possiamo pensare di eliminare per sempre dalla nostra vita personaggi come Primo Greganti e Gianstefano Frigerio, che dallo scandalo di Mani Pulite a Expo 2015 hanno continuato indisturbati a tessere la trama della corruzione sugli appalti pubblici?Come possiamo non ripetere esperienze come il Mose di Venezia o la Terra dei fuochi in Campania?

Io credo che dobbiamo lavorare su due tematiche: una culturale (che coinvolga i grandi e i bambini, vera speranza del Bel Paese) e l’altra di regole ferree e controlli duri. A partire dalle cose banali. Non sarà semplice, né di corto periodo. Ma alla fine porteremo il cambiamento. “Per riuscire a combattere la corruzione — spiega Cantone nel libro — le persone devono cambiare. Invece siamo sempre pronti a chiedere regole per gli altri, non per noi. E’ fin troppo facile incontrare persone con una doppia faccia, che sbandierano affermazioni di principio, salvo smentirle quando sono in ballo i loro interessi”. 

E l’esempio pratico che il magistrato porta a testimonianza della veridicità di questa affermazione è ancora più sconvolgente: “Al momento della nascita dell’Autorità (anticorruzione, ndr) una docente universitaria ha insistito per incontrarmi. Era una persona impegnata sui temi della legalità, aveva organizzato manifestazioni contro le mafie e quindi l’ho ricevuta ben volentieri. Mi ha subito detto che le sarebbe piaciuto diventare consigliere dell’Autorità nazionale anticorruzione. Le ho spiegato che i termini per il bando erano chiusi e che non si poteva più partecipare alla selezione, ma la sua replica è stata sorprendente: ‘E che problema c’è? Facciamo in modo che non siano chiusi, ci inventiamo un protocollo alla buona’”. 

Sono convinta che se avessi chiesto al mio vicino in aereo perché non spegnesse il tablet come tutti gli altri, la risposta non sarebbe stata molto diversa: “E che problema c’è? Mica cade l’aereo perché sto leggendo il mio libro”. Non siamo stufi del “si è sempre fatto così”? Non siamo stufi dei “cervelli” che scappano all’estero perché non si fidano del Paese nel quale sono nati. Non siamo stufi di sentire che la prossima generazione deve cambiare l’Italia? Cominciamo a farlo noi. Adesso. “Il tempo degli alibi e delle scuse è finito da un pezzo”; alla faccia dell’idiota che viaggiava con me in aereo.