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Home » Cultura » Letture e Recensioni » LETTURE/ Il nulla e “l’altro”: il presente di Hegel

  • Letture e Recensioni
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LETTURE/ Il nulla e “l’altro”: il presente di Hegel

Occuparsi oggi di Hegel (fuori dagli stereotipi) non rientra certo nelle mode culturali, piuttosto le sfida. E' quello che fa Gianfranco Dalmasso nel suo ultimo libro. FRANCESCA BONICALZI

Francesca Bonicalzi
Pubblicato 26 Ottobre 2015
canova_amorepsiche_stanti1R439

A. Canova, Amore e Psiche stanti (1796-1800) (Immagine dal web)

Spesso la filosofia detta le mode culturali, a volte è nebulosamente ripiegata su un linguaggio criptico, sempre la filosofia mette in moto l’umano quando è autentica e lavora nella direzione di creare ulteriori articolazioni di pensiero che consentono di cogliere la realtà in tutta la sua ampiezza. 

Occuparsi oggi di Hegel non rientra certo nelle mode culturali, piuttosto le sfida. E le sfida nella modalità di porre domande capaci di aprire fenditure, schiudere spiragli che mostrino giunture e percorsi che erano stati occlusi. 


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Il libro di Gianfranco Dalmasso Hegel, probabilmente. Il movimento del vero, si pone in questa direzione. Alla luce di questo volume possiamo affermare che un giudizio sull’attualità di Hegel non implica solo il rigore storiografico e di lettura testuale, qui per altro ampiamente reperibili, ma indica soprattutto il ripensamento dell’attuale in filosofia, inteso come un pensiero al lavoro che produce effetti, ancorché non saputi. Pensare al presente la filosofia di Hegel appare come un movimento dinamico che porta con sé una potenza inesauribile di rinnovamento della filosofia stessa, che le permette di rispondere alle sollecitazioni di una nuova attualità al di là di un sapere teorico definitivamente iscritto nella forma del suo discorso.


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Il volume di Dalmasso è di forte interesse non solo perché sottrae Hegel a quegli stereotipi che lo schiacciano sul carattere astratto della sua filosofia riconducendolo ad uno stilizzato idealismo, oppure modulandolo nel confronto con la dialettica marxiana, ma anche perché indica nell’hegelismo una risorsa per il pensiero. Il titolo Hegel, probabilmente provoca allora nella direzione di suggerire nuove aperture, che si annunciano nel “probabilmente”: probabilmente Hegel… Sottratto Hegel alle gabbie interpretative, c’è allora modo di accedere a una diversa esperienza del suo pensiero. 


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E questo è possibile perché l’autore non si confronta tanto con ciò che Hegel afferma, ma con il percorso, con il modo, con il linguaggio in base ai quali Hegel arriva a dire quello che dice, in quanto “l’impresa filosofica di Hegel consiste nell’interrogarsi non semplicemente su di sé e/o sul mondo ma piuttosto sul suo stesso sapere, come nasce e si costituisce il suo sapersi e il suo sapere il mondo” (p. 11).

Al centro delle letture di Dalmasso stanno due termini — negazione e alterità — che sono al cuore della filosofia hegeliana e che delineano anche l’orizzonte della cultura contemporanea. Intervenire dunque sulle questioni sollecitate dai due termini da lui evidenziati, non implica soltanto restituire storiograficamente comprensione al testo hegeliano, ma anche mettere in circolazione una riflessione adeguata che permette di offrire piena  comprensione della contemporaneità. Dalmasso sottolinea che Hegel permette di parlare di una negazione attiva, una mancanza che produce effetti, produce una novità attraverso il negare che è anche affermazione (aufhebung).

Questo consente di prendere posizione rispetto a una dimensione del pensare che lascia ricondurre il negativo ad un orizzonte nichilistico. La negazione della determinazione è ciò che obbliga il finito a mettersi in connessione con l’infinito ed obbliga anche a rileggere la questione filosofica per eccellenza, il vero. Il vero non è una unità originaria, astrattamente data, acquisizione e possesso della ragione, ma risultato, cioè avvenimento che mi coinvolge mentre lo penso (p. 31). 

Questo non significa in alcun modo storicizzare il vero, ma ricondurlo ad un movimento, il movimento del vero— come recita il sottotitolo — che impegna il vero con la storia, e dunque con il tempo come forma dello spiazzamento della verità presa nel gioco del non ancora, del noch nicht. Il dolore e il male sono allora elementi di un movimento che li supera e restituisce il senso dell’umano a se stesso (p. 86). “La nozione del negativo funziona nel dispositivo del linguaggio hegeliano come una alterità lacerante che chiede di essere attraversata affinché l’unità, l’unificazione cessi di costituire, nel suo stesso funzionamento, un totalitarismo e una sopraffazione, sia nell’io, sia nella comunità” (p. 91). 

Ma che cosa può dare unità a un uomo che ospita l’alterità, la mancanza, il negativo, la morte? La risposta è tutta giocata nella libertà e questo, per Dalmasso, rende possibile recuperare il carattere apologetico della filosofia hegeliana come ricostituzione di una unità nuova che mette in campo una relazione con Dio come “un diverso modo di pensare, un diverso modo di pensarsi” (p. 127). L’io si costituisce come sé, ritrovandosi tra due nulla: il nulla di sé e il nulla del suo presunto possesso dell’origine: “fra tali due non è pensabile la generazione e perciò l’identità di un io che non è proprio a se stesso, mentre Dio riconosce se stesso come risultato di sé attraverso se stesso. Dio è questo movimento in se stesso e solo così è il Dio vivente” (p. 130).

–
Gianfranco Dalmasso, “Hegel, probabilmente. Il movimento del vero”, Jaca Book, Milano 2015.

Gianfranco Dalmasso dialoga su Hegel con Carlo Sini lunedì 26 ottobre, ore 18, presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano.


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