«Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze». Queste parole di Papa Francesco a Firenze hanno anticipato il riferimento del Pontefice ai personaggi di Giovannino Guareschi: in particolar modo don Camillo ma, di riflesso, anche il sindaco comunista Peppone. Addirittura il Papa ha citato un brano guareschiano nel quale si mette in evidenza come don Camillo conosca personalmente ognuno dei parrocchiani, ne sappia dolori, gioie, angosce e speranze: don Camillo è, insomma, il “cuore del paese”: come ha ben detto Giorgio Vittadini durante la serata dedicata a Guareschi in quel del Santuario di Madonna dei Prati, a un passo dalla casa di Guareschi. 



È il dialogo che don Camillo ha, non solo con Peppone, ma con tutti i suoi parrocchiani che ha offerto spunto alla citazione di Francesco, come ha detto alla Gazzetta di Parma monsignor Carlo Mazza, Vescovo di Fidenza: «…portando il prete guareschiano ad esemplarità nazionale, recuperando il modello del sacerdote don Camillo: prete all’apparenza intransigente da una parte, ma umanamente capace del dialogo con Peppone dall’altra. Un modello che sembra superato ed invece è di grandissima attualità: il rapporto costante, sostenuto dal medesimo amore, del sacerdote con la gente e con Gesù». 



Guareschi, senz’altro, non è nuovo all’apprezzamento dei pontefici: mentre si trova a Roma, per le riprese in studio a Cinecittà, Fernandel viene invitato ad una udienza privata da papa Pio XII che ha visto Don Camillo in una proiezione privata. In un primo momento scambia per impostori i due inviati pontifici, poi si rende conto che parlano seriamente. E una domenica mattina si presenta in Vaticano con la figlia Janine. Racconta Fernandel: «Dappertutto sacerdoti, giovani, anziani, vecchi. E di ogni colore, neri, violetti, rossi, scarlatti. E tutti che mi salutavano con grandi gesti, grandi sorrisi. Io ovviamente rendevo il saluto. E poi, d’un tratto, mi sono accorto che tutti questi sacerdoti, anche di grado elevato, non mi salutavano come un estraneo. Mi riconoscevano. Dicevano “buongiorno” a un collega, in abiti civili ma pur sempre un collega». L’incontro col papa dura un quarto d’ora, è cordiale, parlano della Francia, della famiglia, di tante cose. Ma non una parola su Don Camillo. 



L’episodio più importante, però è legato a Giovanni XXIII e lo ha raccontato Giorgio Pillon (all’epoca giornalista del Candido) nel volume Segreti incontri

«Questi i fatti: mi chiama ad Assisi don Giovanni Rossi, creatore della Pro Civitate Cristiana e già segretario particolare del cardinale Ferrari, oggi sugli altari per volontà di Giovanni Paolo II. Vado a rivedermi Giotto, poi passo da don Giovanni. Che voleva? “Alcuni giorni fa sono stato da papa Giovanni (papa Roncalli). Monsignor Loris Capovilla nell’introdurmi nello studio del Santo Padre mi ha detto: “Don Giovanni, le raccomando, sia  breve. C’è una coda di alti prelati che aspetta”. Invece il papa mi trattenne più di un’ora. Come sai gli sono  amico da sempre. Quando era a Venezia, come Patriarca, è venuto più volte qui. Ricordo anzi che tu gli hai parlato a lungo. Ebbene, sai che mi ha detto il papa? Il catechismo che si studia oggi, quello di Pio X, è sorpassato. Non si può più far imparare a memoria ai bambini che si apprestano a fare la prima comunione frasi  come questa: Chi è Dio? È l’Essere Perfettissimo, Creatore del Cielo e della Terra. Ho pensato — è sempre papa Roncalli che parla — di affidare ad un vero scrittore popolare la stesura del Nuovo Catechismo, con l’aiuto,  naturalmente, di un bravo teologo. Così mi è venuto spontaneo alle labbra il nome di  Guareschi — Papa Roncalli, quando era stato Nunzio a Parigi, aveva regalato una copia del Don Camillo, appena apparso in francese, al presidente della Repubblica Auriol —. Vuoi, per piacere, combinarmi un incontro a Milano con Guareschi?” concluse don Giovanni Rossi. Telefonai al Candido e riferii tutto a Minardi perché Guareschi da diverse settimane si era rinchiuso nel suo isolamento di Roncole, vicino a Parma, quasi di fronte alla casa natale di Giuseppe Verdi. La risposta venne il giorno dopo: “Guareschi dice che don Giovanni Rossi è matto”. Chiamai Assisi e con i dovuti modi riferii il rotondo “no” di Guareschi. Don Giovanni Rossi non rinunciò. Tornò a tempestarmi di telefonate, poi andò a Milano, ma non vide Guareschi». 

Così, dopo Benedetto XVI, che disse di apprezzare i film di Don Camillo, oggi tocca a Francesco chiedere alla Chiesa di ispirarsi al parroco di campagna creato da Giovannino Guareschi, anche se non è la prima volta che Papa Bergoglio cita don Camillo e, da ciò che ha detto vien da chiedersi quanto sia plausibile la somiglianza fra il Vescovo di Roma, chiamato dalla “fine del Mondo”, e il sanguigno sacerdote sempre alle prese con il carattere facilmente “infiammabile” della gente di “Mondo piccolo” e con l’animo testardo, ma obbediente alla coscienza cristiana di Peppone. Credo che questa somiglianza stia diventando sempre maggiore, man mano che Francesco riavvicina la Chiesa alla gente, dialogando fraternamente con i tanti Pepponi di questo nostro tempo.

Leggi anche

IL PAPA E LA GUERRA/ Mentre la carne sanguina, il realismo della pace viene solo dal VangeloPAPA FRANCESCO/ Lo sguardo di Bergoglio su ambiente, economia e guerreUCRAINA, RUSSIA, EUROPA/ "Dal corpo di pace alla dittatura Ue, cosa mi ha detto papa Francesco"