Di fronte al sangue innocente, di fronte ad una strage fatta di tante singole esecuzioni, il comunicato giusto, quello che può spiegare o confortare, non esiste. Perché non esistono le parole. Quali parole possono bastare, possono contenere, il dolore, lo sdegno, la rabbia, la paura? Nessuna. E allora? E allora parliamo ugualmente e scriviamo ugualmente perché la parola è l’unica arma che le persone qualsiasi hanno per difendersi. La parola rivolta a Dio si chiama preghiera e quelle tra di noi si chiamano parole normali, parole e basta. 



Le parole “e basta” in questo caso, però, hanno qualcosa in più da dire perché chi è stato ucciso non sono militari ma persone qualsiasi, persone “e basta”. Persone armate solo con la propria parola. Il presidente di Cl, Julián Carrón sottolinea quanto sia chiaro che, da oggi, chiunque può essere il bersaglio della morte violenta. Dice, con ragione, che possiamo “essere uccisi in qualsiasi momento e ovunque, al ristorante, allo stadio o durante un concerto”.



In questa terribile circostanza, il cardinale di Parigi André Vingt-Trois ha detto delle parole semplici, e per questo belle e importanti. Di essere artigiani della pace, di non lasciarsi andare al panico o all’odio, di pregare. E invita a qualcosa di così normale da risuonare come una campana a distesa. Chiede alle parrocchie “di attenersi rigorosamente alle misure di sicurezza indicate dalle autorità”. 

Potrebbe sembrare una frase da steward o da hostess e invece dentro ha qualcosa di più. Chi dice di stare dentro le istituzioni e la civiltà quando gli attentati che ha subito sono contro le istituzioni e la civiltà, ha qualcosa in più, dice qualcosa in più.



Sono un cittadino italiano e quindi tutto ciò che è proprio della città, diritti e doveri, è mio, di mia competenza, mi spetta di diritto, debbo rispettarlo. Se fossi francese, se fossi parroco a Parigi, dovrei, necessariamente e  assolutamente, rispettare le norme di sicurezza dello stato a cui appartengo e di cui porto il nome. Tutto ciò che lo stato dice e che non va contro la  mia coscienza è la mia coscienza stessa che mi obbliga a rispettarlo.

A chi parla di Dio per uccidere, il vescovo di Parigi dice di opporre la nostra vita di cittadini qualsiasi.

Siamo in guerra, diceva qualcuno intorno a me oggi. Altri rispondevano, no, non è guerra. Perché anche la guerra ha un suo folle codice d’onore e poi la guerra esiste se c’è anche la pace. 

Io non so chi ha ragione, ma so che questi signori dell’Isis non vogliono vincere la guerra, vogliono toglierci la pace. Se io — come dice il comunicato di Comunione e liberazione — posso essere ucciso non perché ho un nemico ma perché vado a teatro, vuol dire che si sta combattendo non “per la pace” ma “contro la pace”. Contro la pace e la civiltà che queste istituzioni proteggono. 

Così “fate quello che dice l’autorità” diventa uno slogan rivoluzionario. È affogare la guerra nella pace. È essere uomo di Dio per la salvezza di tutti.