Pregevole la recente edizione per il melangolo, a cura di Giona Tuccini, delle Rime di Girolamo Savonarola, il discusso frate ferrarese che fu impiccato e condannato al rogo a Firenze nel 1498 e ora è venerato come beato dalla Chiesa.
Nato a Ferrara nel 1452 da famiglia di medici e notai provenienti da Padova, educato alla scuola di Guarini, sin da giovane compone versi e impara a suonare il liuto. Gli autori preferiti sono Cesare, Petrarca e Platone, fino a quando viene conquistato da Aristotele, letto attraverso Tommaso d’Aquino. Nel 1475 diventa frate domenicano a Bologna: la vocazione quasi improvvisa viene abbracciata con tutto l’ardore dettato dal carattere e dall’ammirevole conoscenza della filosofia e della teologia. Nel 1482 viene trasferito dall’Ordine nel convento di San Marco a Firenze, affrescato da Beato Angelico. Insegna e predica, mentre si fa più intenso il dolore per il venir meno della fede tra la gente. Nel 1487 predica a Bologna, a Ferrara, a Mantova, a Brescia, a Piacenza, a Modena. Nel 1490 viene destinato di nuovo a Firenze e insegna con grande seguito Sacra Scrittura. L’anno seguente viene eletto priore del convento di San Marco, ma i suoi rapporti con i Medici diventano difficili. Penitenza e conversione sono i pilastri della sua predicazione infuocata. Lorenzo il Magnifico medita di bandirlo dalla città, ma muore nel 1492 e fra Girolamo ottiene da Alessandro VI di poter riformare in autonomia i conventi toscani dell’Ordine domenicano.
Ben presto si profila la calata di Carlo VIII in Italia. Il re francese entra in Firenze da conquistatore alla fine del 1494 e fra Girolamo è mediatore fra il re e il comune. Si insedia la nuova Signoria, sulla base della predicazione teologico-politica di Savonarola, ma se la riforma monastica dà notevoli frutti, l’iniziativa del “nuovo reggimento” non provoca i consensi attesi. Firenze è dilaniata dalle lotte tra i suoi cittadini, in Italia la Lega Santa ottiene il ritorno di Carlo VIII in Francia. Alessandro VI revoca al Savonarola il permesso di portare a termine la sua riforma e lo sospende dall’incarico di predicare. Giunge così, tra alterne vicende, il 1498. Viene allestito il “rogo delle vanità”, già introdotto da Bernardino da Siena 75 anni prima e ripetuto nel 1483 e nel 1497. Il papa ordina di arrestare fra Girolamo, che tenta di difendersi, ma dopo tre mesi di lotta si consegna agli uomini della Signoria e subisce tre processi che non provano alcuna colpa del frate e vengono falsificati. Nella solitudine, ma nella perseveranza, Savonarola è condannato all’impiccagione e al rogo.
Il curatore dell’edizione delle Rime si sofferma sul debito che esse hanno nei confronti di Petrarca, non solo per gli stilemi letterari, ma anche per alcuni temi. E’ molto interessante seguire le annotazioni in calce alle composizioni di fra Girolamo, che riportano i luoghi petrarcheschi presenti come eco e talvolta come citazione. Fin dalle rime giovanili il lessico di Francesco è abbondantemente ripreso: stanco, porto, dolci acque, il cor avvampa, fiamma dal ciel, il tempo vola.
E’ bello avere molti riferimenti per leggere Girolamo attraverso Francesco, anche perché i due affondano la loro produzione su un terreno comune, quello della letteratura latina classica e medievale, di cui si trovano in entrambi abbondanti tracce. Una per tutte, Cicerone delle Tusculanae disputationes: “volat enim tempus” e Savonarola: “Donque, non esser tarda, /ché il tempo vola, anima mia gentile”. O, nella celebre Laude al Crocifisso, il tema: “O gran bontà, / dolce pietà” rinvia a “Dulce lignum, dulces clavos, dulce pondus sustinet” inno di Venanzio Fortunato, composto nel VI secolo. La gamma dei rimandi dunque si amplia, guidata da una mano sapiente.
Non deve sfuggire a un’analisi così puntuale la diversità di timbro: irresoluto nell’intraprendere una via non solo letteraria, forse anche ripiegato sull’oscurità dell’io, imprigionato dalla malinconia e dall’accidia Petrarca. Savonarola infiammato d’amore, severo con se stesso e con il suo lettore, volto all’azione tutta interiore della conversione e a quella esteriore del rinnovamento morale.