Il dialogo tra Michele Seri e Paolo Pombeni (La politica dei cattolici. Dal Risorgimento ad oggi, Città Nuova, Roma 2015) ripercorre la storia del nostro cattolicesimo politico, soffermandosi in modo particolare sul “caso” italiano. Da Murri a Sturzo, da De Gasperi a Moro, da Andreotti a Fanfani, da De Mita a Prodi, il volume mette a fuoco tutti i più rilevanti snodi della storia contemporanea tra luci e ombre, evidenziando il travagliato rapporto del cattolicesimo con quello che, fin dall’Ottocento, era considerato il perverso circuito della modernità.
Qual è stata la politica dei cattolici in Italia? Ha ancora senso oggi, in una società secolarizzata e anticristiana come la nostra, parlare di impegno dei cattolici nella politica italiana? Sono domande (e provocazioni) che il testo sollecita a fare, e che dovrebbero porsi tutti, credenti e non. Soprattutto in questo frangente storico, in cui l’unità politica dei cattolici è ormai un ricordo lontano e il bisogno di un’identità salda impegnata politicamente si avverte in tutta la sua cocente drammaticità. Cominciamo dalla prima. La politica dei cattolici in Italia — il testo lo mette bene in luce — è stata variegata e molteplice, frutto di visioni non sempre condivise e punti di vista spesso differenti. Due nodi di fondo, tuttavia, possono essere rintracciati. Il primo riguarda il contributo che i cattolici hanno offerto per il bene del singolo e della comunità: quello proprio di uomini impegnati col proprio destino, coscienti che il proprio compimento — e quello dei loro fratelli uomini — non sarebbe stato mai dato dal potere, e che proprio per questo non hanno venduto o propinato sogni ma hanno sostenuto lo sforzo di ciascuno nel realizzare e compiere se stesso. La politica è un servizio, un’offerta di sé affinché gli uomini stiano meglio; “è la più alta forma di carità” ricordava incessantemente Paolo VI. Una carità che non può, per sua natura, provenire da nessuno sforzo umano. De Gasperi, Moro, Dossetti, per citarne alcuni, sono stati l’esperienza di questa possibilità, e non a caso sono tra i più vivi esempi di questa tensione al bene comune. Il secondo nodo comune, in negativo si potrebbe dire, è il suo opposto: quando è mancata questa tensione, quando è mancato l’impegno col proprio destino, i politici cattolici si sono ridotti a uomini spesso ricattabili dal potere — né più né meno di altri —, trombe stonate di ideali ormai astratti che al massimo hanno offerto (e offrono) valori non più vivi per loro e per questo destinati ad essere, prima o poi, sostituiti. La differenza tra le due posizioni è palpabile.
Ed oggi? Ha ancora senso oggi l’impegno politico dei cattolici? Papa Francesco più di una volta ha chiesto ai cattolici di impegnarsi politicamente, di essere agenti di cambiamento e lievito della società. Ma è chiaro che non si tratta di difendere dei valori, il che sarebbe tremendamente ingenuo oltre che profondamente dannoso; né di riempire piazze, giacché nessuna piazza è in grado di cambiare un cuore. Si tratta piuttosto di dare testimonianza di libertà: quella libertà disarmata che affascina e vince perché tremendamente nuova. La sfida cui è chiamato l’impegno in politica dei credenti è tutto qui. Solo nella misura in cui si accoglierà questa sfida, i cattolici saranno in grado di portare in politica quel vento fresco e originale che tutti, in fondo, da loro si aspettano.