La speranza, oltre la paura. Questa è la lezione dell’incontro conclusivo del progetto della Fondazione Internazionale Oasis intitolato “Conoscere il meticciato, governare il cambiamento”, tenutosi venerdì all’Università Cattolica di Milano. Una riflessione biennale quella di Oasis, che è aumentata di spessore, urgenza e impatto con il passare dei mesi, sotto la spinta degli eventi.
L’incontro, intitolato “Confini che ci cambiano: Europa e Islam dopo gli attentati di Parigi” ha radunato gli studiosi Abdelmajid Charfi (Università di Tunisi), Henry Laurens (Collège de France), Riccardo Redaelli (Università Cattolica) e l’arcivescovo di Milano Card. Angelo Scola, attorno ai temi dell’alterità, dell’inevitabile mescolamento di identità, appartenenze e culture, e della necessità di sviluppare stili di vita al passo con queste sfide.
Ad aprire i lavori il rettore Franco Anelli, entrato nel vivo del tema per mostrare come la mobilità geografica, la trasformazione dei regimi e le interconnessioni sociali abbiano abbattuto la tradizionale idea dei confini lungo i quali si erano sviluppate le identità prima religiose, poi statali e infine ideologiche.
Su questa rottura della contrapposizione noi/gli altri si è poi inserito Charfi, mostrando come una parte del mondo islamico abbia coltivato, nell’arretratezza di risorse e conoscenze, una pulsione adolescenziale e passatista esplosa con il terrorismo, facendo esattamente leva su un’idea di alterità tutta giocata sulla contrapposizione, anziché sul confronto e il reciproco arricchimento. Laurens gli ha fatto eco, sia destrutturando la classica rappresentazione dell’islam e dell’Europa come radicalmente alternativi — un fenomeno mai datosi storicamente, e che per di più rende incomprensibile anche i fatti più gravi come gli eccidi parigini, perpetrati da francesi che hanno coltivato il proprio odio nella cultura tutta cittadina delle banlieues, non al di fuori del continente.
Ancora nel segno del realismo si è mosso il contributo di Redaelli, il quale ha proposto una prospettiva storica con cui guardare al Medioriente attuale: un’area tradizionalmente soggetta al dominio eminente altrui (fosse ottomano, coloniale o dittatoriale), ora priva di tutore esterno e largamente incapace di sviluppare processi politici autonomi, si è trasformata in un territorio di conflitto che contrappone innanzitutto sciiti e sunniti. Una rappresentazione, quella della guerra fratricida interna all’islam, che spesso sfugge alla cultura europea, la quale fatica a comprendere di essere l’obiettivo solo strumentale del terrorismo salafita, proprio perché le sfugge la pluralità che agita il mondo musulmano.