“La misura dell’amore è limitata. Un uomo può amare cinque uomini e cinque donne, forse dieci, qualche volta quindici. Ma anche ciò accade raramente. Se qualcuno dice che ama i popoli oppressi o l’America Latina o che ama il sesso femminile, allora penso che questo non è amore, ma retorica” (Amos Oz, Giuda).
La parola usata per “retorica”, nella traduzione tedesca di Mirjam Pressler del testo dello scrittore ebraico, è molto forte: “Phrasendrescherei”. L’amore universale e gratuito di Gesù, citato esplicitamente poco prima della frase riportata, viene attaccato come la produzione di un parolaio. Non ho bisogno di spiegare a lungo che per chi confessa la propria fede nel Logos universale e concreto, che rivela l’amore universale e gratuito di Dio e per chi cerca di pensare l’essere come un atto di donazione gratuito, ci troviamo, con questa critica che Amos Oz mette nella bocca di uno dei tre personaggi del suo romanzo intitolato come il discepolo che ha tradito Gesù, nel cuore delle possibili obiezioni serie che si possono fare al cristianesimo.
I tre personaggi che per un inverno (1959/60) vivono un’amicizia nella clausura di una casa di Gerusalemme situata nel vicolo di Rav-Albas, alla periferia della città, al confine con campi di pietra che portavano ai resti di un paese arabo, Sheikh-Badr, sono un anziano signore, Gershom Wald, che pronuncia la frase citata, Atalja Abrabanel, una donna di mezza età, figlia di Beit Jehojachin Abrabanel, ormai morto da anni, padrone della casa in cui vivono i tre e grande critico, sebbene appartenente al movimento sionista, dell’esistenza di uno stato di Israele perché esso non avrebbe potuto che portare ad un conflitto permanente tra arabi e ebrei nella regione e che veniva considerato dai seguaci di David Ben Gurion, primo premier di Israele, un traditore; e infine il giovane Schmuel Asch, che non vuole più studiare all’università senza interrompere però il suo dialogo interiore con il tema del rapporto di Gesù e Giuda da una prospettiva di studi ebraici.
I tre vivono un rapporto di amore: di amore filiale tra il giovane Schmuel e l’anziano Gerschom; e di amore passionale tra Schmuel e Atalja. In questi rapporti viene posta la misura di un’amore possibile. Nei confronti dell’anziano, Schmuel vive un rapporto di servizio, per alcune cose che Gerschom non è più capace a fare (chiudere le tapparelle, dar da mangiare ai pesci) e di ascolto di lunghi monologhi, in cui il vecchio si confronta con l’idealismo di Abrabanel, il traditore, la cui figlia Atalja, aveva sposato il suo figlio Micha, morto in guerra per difendere il sorgere dello stato di Israele.
Il tema del tradimento è il cuore del romanzo. Giuda tradisce per un eccesso di amore. E’ lui “il fondatore della religione cristiana”, “un uomo benestante dalla Giudea, non come gli altri discepoli, che erano pescatori e semplici contadini”. Convince Gesù ad andare a Gerusalemme, mentre il maestro avrebbe voluto agire solamente in Galilea, e crede fino alla fine che egli riuscirà a scendere dalla croce e a dimostrare a tutti di essere il Figlio di Dio, che porta l’amore universale al mondo intero. Quando invece si accorge che Gesù è un semplice uomo, affascinante nel suo ambito di provenienza, la Galilea, ma al quale lui, Giuda, portandolo a Gerusalemme, ha chiesto più di quanto egli potesse dare, si dispera e si ammazza.
Si può dire che nella spiritualità giudaica di Schmuel Giuda è ciò che nella spiritualità cattolica è Giovanni: il discepolo prediletto. Ma mentre quest’ultimo rivela che il mistero di Dio come amore si rivela proprio nell’essere l'”agnello macellato” (Apocalisse) che viene dichiarato vittorioso, nella figura del Giuda di Oz questo amore si rivela, dice Schmuel, per ciò che non può non essere: un semplice fallimento. Come è un fallimento l’idea universale di amore che rappresenta Abrabanel, quando pensa ad una fratellanza tra arabi e ebrei.
Ci sarebbero molti aspetti da approfondire in questo romanzo che critica la teologia politica delle tre grandi religioni — “l’ebraismo e il cristianesimo e anche l’islam predicano il nettare della compassione e della misericordia solo fino a quando non dispongono loro stesse di catene, di potere, di torture”—, ma la domanda emergente che mi sembra porre l’esigenza di una risposta più esistenzialmente necessaria è quella se esista davvero un amore gratuito che non sia solo un’oasi nell’inverno della vita, ma un percorso capace di portare a una reale comunione tra gli uomini. Se non è così, risulta tristemente vero che “l’odio gratuito è meno pericoloso di un amore gratuito”, perché “l’amore per l’umanità è sempre legato all’odore antico dello spargimento di sangue”.
Secondo me la risposta può essere data solo con la vita, con l’esperienza, mostrando nei fatti all’autore, che in un’intervista ad un giornale tedesco aveva detto che il suo romanzo parla della vita così come è, che in realtà essa può essere segnata anche da un amore incontrabile e gratuito, che passo dopo passo diventa ciò che da sempre è: universale. Nel frammento vissuto si rivela ciò che l’essere stesso è nel suo “primerear”: un dono gratuito. Il resto sono davvero solo “parole, parole…”.