Quale fascino ci sia in queste pagine lo sa benissimo Toni Servillo, che lo scorso anno volle leggerle davanti ad un pubblico che riempiva all’inverosimile la chiesa di San Marco a Milano. Lui napoletano, alle prese con la prosa così lombarda di Giovanni Testori. Ma a far innamorare Servillo (e prima di lui ovviamente Testori) era stata soprattutto la figura di Gaudenzio Ferrari, grande artista del Cinquecento, a cui si deve l’invenzione di quella “ottava meraviglia del mondo” (definizione di Servillo stesso) che è il Sacro Monte di Varallo. Le pagine che l’attore aveva scelto di leggere quella sera erano tratte da uno straordinario libro di Testori, dedicato appunto alla riscoperta di Guadenzio e del Sacro Monte. Si intitolava Il gran teatro montano, era uscito proprio 50 anni fa, in un’edizione che lo faceva sembrare un libro popolare. Ma così aveva voluto Testori e così anche il suo editore, Feltrinelli. Un libro che non mettesse soggezione (neanche nel prezzo), alla portata di un pubblico largo, per far finalmente scoprire a tanti quell’incredibile, gigantesca installazione montana. Oggi a 50 anni di distanza quel libro esauritissimo torna in libreria, in una veste simile ma tutta nuova, sempre per Feltrinelli. 



In copertina si vedono due immagini di una stessa opera: è la statua del Buon ladrone, realizzata da Gaudenzio Ferrari per la cappella della Crocifissione al Sacro Monte, cappella che rappresenta il suo capolavoro. Uno dei due è in bianco e nero, ed è foto che risale all’edizione di 50 anni fa; l’altro è invece a colori per ribadire che questo non è solo un libro di ieri ma è un libro culturalmente aperto sull’oggi. Il primo respira il senso un po’ epico della scoperta. Il secondo invece conquista con il calore teneramente carnale del suo corpo.



Il gran teatro montano è infatti la consacrazione di un artista che come nessun altro aveva saputo immaginare, in pieno Rinascimento, qualcosa di alternativo alla supremazia intellettuale dei grandi centri, Firenze in particolare. Un grande artista rimasto legato ad una tradizione territoriale, quella  piemontese dov’era nato e quella lombarda dove lavorò negli anni della maturità, ma senza mai avere nessun complesso di inferiorità. In Gaudenzio, Testori coglie una capacità di innestare una profondità poetica degna dei grandi, su un tessuto popolare di fondo. In lui si annulla ogni dicotomia tra linguaggio alto e basso, perché Gaudenzio è capace di parlare un linguaggio alto ma partecipato da tutti. La grandezza per lui non è dimensione alternativa al quotidiano, ma vive dentro corpi e volti di uomini e donne del suo tempo. Al Sacro Monte si vedono solo fisionomie vere, non idealizzate. Uomini con difetti fisici, donne capaci di una dimensione materna molto corporea, calda, concreta. Nel vero Gaudenzio poi sa cogliere sempre il dato inconfondibile della dolcezza, anche nel momento del dramma. È la dolcezza con cui plasma le sue statue, prima in legno e poi in terracotta; o con cui dipinge, quasi accarezzandoli con i colori, i volti dei suoi personaggi. 



Con Il gran teatro montano Gaudenzio uscì dal cono d’ombra in cui una critica egemonizzata dai valori fiorentini l’aveva relegato. E vi esce grazie ad un libro che non vuole avere la pretesa di sistematicità che hanno in genere le monografie di storia dell’arte. Come spiega bene Giovanni Agosti, che ha curato in modo appassionato e impeccabile la  nuova edizione, questo è un libro aperto, un libro che assomma saggi, visioni, intuizioni in un crescendo che è molto simile al crescendo della vita. Non a caso questa edizione si arricchisce anche degli scritti che Testori ha dedicato a Gaudenzio successivamente al 1965. Sono scritti diversi, perché retrospettivamente raccontano l’epopea di quelle scoperte, che poco alla volta avevano ricomposto la fisionomia di quel grande protagonista del Cinquecento italiano. C’è ad esempio l’articolo che a Natale del 1975 uscì sul Corriere della Sera, in prima pagina. “Natale al Sacro Monte di Varallo”, è il titolo: un invito appassionato ad andare e scoprire quel luogo, meraviglioso per ragioni artistiche e per ragioni umane. «Ma bisogna andare lassù, in quella nullità di tutto, per capire cos’è questa madre…» scrive Testori, in riferimento alla Madonna della Natività; «(per capire) di che amore, di che trepido, verecondo e purissimo orgoglio trema davanti al figlio appena nato! Canto d’un bene che a noi sembra perduto per sempre, ma la cui umile altezza riesce ad offrirci ancora qualche baluginio di speranza…».