Gli antichi adombravano nel mito le vicende umane, quelle che si tramandavano oralmente come leggende e davano loro quella solennità che non sapevano riconoscere nella vita quotidiana, come afferma acutamente Auerbach nella sua ricostruzione della civiltà classica, messa a paragone con la successiva riflessione cristiana sulla storia.
Un esempio di questo processo si può rinvenire nelle Metamorfosi di Ovidio, nel brano in cui il poeta augusteo narra la vicenda di due anziani sposi, Filemone e Bauci. Sono ben noti il rispetto e l’ammirazione degli antichi per chi ha vissuto tanti anni ed è depositario di una saggezza conquistata nelle lotte e nei sacrifici di una vita lunga; l’onore di cui gli anziani godono presso quella società non di rado disumana e violenta è un monito, per chi lo voglia ascoltare, per chi è rivolto all’efficienza più che alla sapienza, all’ansia del domani più che alla pazienza, all’utile più che all’affetto calmo che l’anziano chiede e sa dare. Ma il racconto di Ovidio narra anche la lunga fedeltà coniugale di Filemone e Bauci, in un tempo in cui la famiglia tradizionale romana si stava sgretolando e a ben poco servivano le politiche familiari di Augusto per ripristinare il mos maiorum non solo non più praticato, ma neppure più stimato.
Narra dunque Ovidio che i due anziani sposi ospitarono nella loro povera capanna Giove e Mercurio, che sotto vesti di viandanti avevano bussato alla loro porta, dopo essere stati respinti dagli altri abitanti del villaggio: “Vivevano uniti fin dagli anni della giovinezza, in quella capanna erano invecchiati, alleviando la loro povertà col sopportarla senza vergognarsene e serenamente. Inutile domandarsi chi è padrone e chi servitore: la famiglia è tutta lì, loro due; comandano ed eseguono da soli”.
Il poeta descrive poi tutta la premura con cui gli ospiti vengono fatti riposare, vengono serviti e rifocillati. Da Omero in poi nella civiltà antica il carattere sacro dell’ospite è attestato ovunque e sarà ripreso con ben altro segno dall’esperienza cristiana: basti pensare a quanto scrivono in proposito san Paolo e san Benedetto.
Tornando al racconto di Ovidio, gli dei punirono coloro che avevano rifiutato di accoglierli, scatenando una grande tempesta e sommergendo case, campi e beni in una palude. Sola rimase la capanna dei due anziani ospiti, trasformata in un tempio. Giove chiese ai due che cosa desiderassero dagli dei e gli fu risposto: “Chiediamo di essere custodi del tempio e, poiché siamo vissuti d’accordo tanti anni, vorremmo andarcene nello stesso istante: che io non debba mai vedere la tomba di mia moglie, né lei debba tumulare me”.
Il desiderio fu esaudito e dopo alcuni anni, mentre Filemone e Bauci si trovavano per caso in piedi davanti ai gradini del tempio e riandavano alle vicende del luogo, furono trasformati in un tiglio e in una quercia, mentre la corteccia suggellava le loro ultime parole di addio.
Così la poesia, che canta la fedeltà, celebra l’ospitalità, trasforma la vita destinata a morire in un’altra vita più duratura. Non è tutto ciò che l’uomo desidera, ma è l’ombra di un destino di bene che, nonostante le brutture della storia, permane nel fondo del cuore.