Cinquant’anni fa, il 7 dicembre 1965, vigilia della solennità dell’Immacolata Concezione di Maria, si chiudeva il concilio Vaticano II. Questo anniversario ha rappresentato l’occasione per un profluvio di pubblicazioni sull’argomento, al punto che il lettore comune potrebbe persino sentirsi preso da una certa nausea da sovrapproduzione giornalistica e libraria, quasi che, ormai, sul tema non ci sia più nulla da dire. In realtà, al di là dei dibattiti di principio, primo tra tutti quello, indubbiamente, fondamentale sull’ermeneutica conciliare, della continuità o della rottura, la maggior parte delle pubblicazioni ha trattato il concilio dal punto di vista storico o teologico, attenendosi, cioè, al concilio stesso, nel suo divenire e nei documenti che ne hanno fissato le conclusioni. Il volume Il concilio Vaticano II in Italia. Cinquant’anni dopo, a cura di Aldino Cazzago (Edizioni Ocd, Roma 2015), si situa in una prospettiva differente, che lo rende particolare e interessante, dal momento che non tratta del Concilio in sé, ma di quel che esso ha prodotto nel mondo cattolico in Italia in questo mezzo secolo. 



Un evento storico, ancor più un evento storico-teologico, può essere, infatti, considerato in sé e per sé oppure dal punto di vista di ciò che ne è scaturito. Il volume, intenzionalmente, non affronta le grandi questioni teologiche legate al Concilio, quale, per esempio, quella della libertà religiosa, ma si propone di indagare su come sia stato concretamente recepito l’appello conciliare a una novità di vita all’interno della Chiesa e della società italiana. «I saggi raccolti nel presente volume sono stati scritti per rispondere a un solo fondamentale desiderio: capire come e in che modo alcuni degli insegnamenti del Concilio sono stati recepiti e poi tradotti nella vita della Chiesa italiana. Al posto dei temi scelti — la santità, il laicato, il catecumenato, i movimenti e l’arte sacra — si sarebbe potuto optare per tematiche più generali e onnicomprensive (…). La selezione dei temi è stata fatta nella consapevolezza che il loro preciso studio, anziché chiudere la visuale, in realtà lascia intravvedere temi che stavano e tuttora stanno all’orizzonte» dei grandi dibattiti sulla natura della Chiesa o sulla sua liturgia. 



Al centro del volume non c’è, dunque, il Concilio, come evento storico o come insieme di documenti teologici e pastorali, ma la sua attuazione nel contesto culturale italiano. La ricezione di un testo non è indifferente rispetto al contesto in cui esso è ascoltato, letto, interpretato. L’apologo introduttivo dei tre vescovi che, a Concilio, concluso, se ne tornano alle rispettive diocesi, è  particolarmente illuminante: «uno africano, la cui Chiesa era molto giovane; uno dell’Europa occidentale, di vecchia e forse un po’ stanca tradizione cattolica; e uno di quelle dell’Est, la cui Chiesa viveva nell’impossibilità di una libera azione (…). I tre luoghi e le tre relative Chiese avrebbero risposto in maniera molto diversa alle sollecitazioni provenienti dai medesimi documenti». 



Ad affrontare queste “sollecitazioni” e le risposte che ne sono derivate, in un contesto specificamente italiano, nel volume curato da padre Aldino Cazzago, sono autori che, in generale, ruotano intorno alla realtà della rivista Communio, che, come è noto, ha rappresentato e rappresenta un nodo essenziale nell’interpretazione dei testi conciliari in un’ottica di rinnovamento nella continuità sostanziale della dottrina. Così, il tema della “vocazione universale alla santità” è trattato dallo stesso curatore della raccolta, nonché ultimo direttore della Communio italiana. A Elio Guerriero, per lungo tempo, a sua volta, direttore della Rivista, è affidata la sintesi storica dei cinquant’anni del postconcilio in Italia, mentre Marco Impagliazzo tratta del «ruolo del laicato nel contesto socio-ecclesiale italiano dal Concilio ai nostri giorni». Maria Antonietta Crippa, architetto e docente al Politecnico di Milano, presenta una sintesi dedicata agli approdi e alle prospettive «per l’arte sacra italiana dopo il Concilio». Mons. Walter Ruspi, responsabile per la catechesi della diocesi di Novara, affronta la questione del catecumenato in Italia. Chiude il volume un ampio saggio di P. Antonio Sicari dedicato al ruolo dei movimenti ecclesiali nella Chiesa italiana.

Fondativo, rispetto a ognuna di queste specifiche trattazioni, risulta il capitolo dedicato a “L’universale vocazione alla santità. La sua recezione nella Chiesa italiana a cinquant’anni dal concilio Vaticano II”, scritto dal curatore della raccolta. Egli vi osa molto, rispetto a parecchie pubblicazioni dedicate al Concilio. Sceglie, infatti, un punto di partenza programmatico — la vocazione alla santità — che, come osservava Giovanni Paolo II, potrebbe falsamente sembrare poco «operativo». Eppure, nota coerentemente l’Autore, proprio su questo punto, quello dell’universale chiamata alla santità, si gioca la corretta interpretazione del Concilio, rispetto a prospettive totalmente basate sul “fare” o sul rinnovamento delle strutture esteriori. Padre Cazzago ripercorre il mezzo secolo che ci separa dalla conclusione del Concilio e l’attenzione (o la disattenzione) pastorale al tema centrale dell’autenticità cristiana,  evidenziando la corretta ricezione di questo appello, emblematicamente riassunto nel capitolo V della Lumen Gentium, con numerosi riferimenti alla prassi magisteriale e pastorale della Chiesa italiana. 

La compiuta percezione di questa «chiamata» universale alla santità è il discrimine che consente di riconoscere il Concilio autentico rispetto alle sue contraffazioni, particolarmente evidenti nelle forzature ultraprogressiste che caratterizzarono gli anni successivi al 1968, il cui sorgere non era sfuggito a importanti esponenti dell’episcopato italiano. Così, esemplarmente, il card. Giovanni Colombo, già nel 1967, affermava: «Sarei ingenuo se ignorassi che, dopo il Concilio, nel mondo non opera soltanto l’autentica teologia da quello originata. In occasione, e con il pretesto del Concilio, vanno in giro seducenti contraffazioni, più veloci e più numerose». 

Al di là delle prese di posizione del magistero, il “prodotto” più autentico del Concilio, rispetto alle “contraffazioni” in circolo, è dato, secondo il capitolo conclusivo del volume, particolarmente dai nuovi movimenti ecclesiali. P. Antonio Sicari, più che trattarne in termini storici o catalogatori — sull’argomento esistono già molte pubblicazioni — sviluppa una vera e propria teologia dei movimenti ecclesiali, a partire da una profonda riflessione trinitaria: «è bene ricordare che tali doni procedono sempre con lo stesso movimento con cui Egli, in persona, procede dal Padre e dal Figlio, e compie obbedientemente la missione affidatagli (…). I doni dello Spirito vogliono mettere sempre in comunione col Dono che è lo Spirito Santo». È quasi superfluo rammentare che i movimenti sono forme di questi doni e che ciò a cui richiamano è precisamente la “vocazione” cui fa riferimento il capitolo V della Lumen Gentium. Su questo punto, l’autore richiama Giovanni Paolo II, che nel discorso di fine millennio rivolto ai rappresentanti di oltre cinquanta movimenti ecclesiali, spiegava: «Ognuna delle vostre realtà merita di essere valorizzata per il peculiare contributo che apporta alla vita della Chiesa». Del resto, ed è la conclusione del volume «sono soprattutto i movimenti ad accettare a livello planetario la sfida a cui si riferiva insistentemente e accoratamente Giovanni Paolo II».