Preceduta dalla ricca e dotta Introduzione di A. Traina, uno dei maggiori studiosi a livello mondiale di questo autore, che riprende il problema di fondo del bilinguismo di Giovanni Pascoli (bilinguismo o diglossia?), la nuova edizione dei Poemi cristiani (Lindau, 2014), ripropone una versione rivista e corretta di quelli che possono venire definiti i fiori estremi della poesia latina di Pascoli e insieme le creazioni più originali del panorama letterario italiano del primo Novecento. La versione italiana dei poemi è E. Mandruzzato, allievo di Concetto Marchesi, con cui si laureò nel 1950 con una tesi sull’Octavius, fertile vena di traduttore e poi di poeta in proprio, appassionato di letteratura cristiana delle origini.
Come del resto ricorda Traina, benché a volte la traduzione di E. Mandruzzato, specialmente dal punto di vista della filologia più rigorosa, possa apparire discutibile, essa merita di venire riproposta, specialmente in un tempo come il nostro, in cui non solo c’è tanto bisogno di poesia, ma anche in cui si studia — complice anche la ricorrenza del recente centenario della morte — sempre più il Pascoli italiano e sempre meno il Pascoli latino (a parte alcune felici eccezioni, come il concorso pascoliano bandito dal Liceo Agnesi di Merate (Lecco) a fine 2012, e centrato, per l’appunto, sulla produzione latina di questo autore).
La presente versione dei poemi cristiani di Pascoli è connotata precipuamente dall’intenzione di portare il testo verso il lettore, chiamandolo in causa nella sua esperienza quotidiana, per coinvolgerlo con maggiore intensità nella vicenda, a maggior ragione quando, come in questi casi, si tratta di un racconto calato e ambientato in un contesto antico, lontanissimo dalla nostra esperienza di vita.
Per esempio, quindi, l’originalità e la sapienza traduttiva di Mandruzzato si rivelano già nel primo poema del volume, il cui titolo, Centurio, già nel titolo diventa L’ufficiale, sostituendo l’attualità alla storicità della fonte evangelica, e poi, nel corso del racconto poetico, viene tradotto (v. 51, con “capitano”), così come le caligae (v. 47) diventano gli “scarponi d’ordinanza”, mentre pupi (v. 96), diventa, nella versione italiana, “bambocci” (il classicista Valgimigli lo rendeva con “fanciulli”). E ancora, in Thallusa, uno Iamque incipitario (v. 112) si contrae in un “Be’ ” e l’interiezione Heu (letteralemente “ahimè”), diventa “Oddio”, proprio sulle labbra di Plauzio che accusa la moglie Pomponia Grecina (Pomp. Graec. di abiurare gli dèi ancestrali).
Anche nella resa sintattica le scelte di Mandruzzato orientano la traduzione nel senso di una maggiore fluidità, dando la preminenza alla paratassi: per esempio, pudet seguito da un’infinitiva (Cent. 100-101, Heu pudet hastatum cum torquibus atque catellis / carnifici servare cruces…) diventa “Che vergogna, lì con l’asta, le decorazioni, fare la guardia alle croci del carnefice…”.
Ma, come nota A. Traina, lo stilema che maggiormente colpisce nella versione italiana di Mandruzzato è la presenza di traduzioni ipersemantiche. Volendo evitare l’ovvio e il banale, il traduttore, cioè, tende sempre a sorprendere il lettore con invenzioni verbali dalla violenza espressiva talvolta rasentando l’espressionismo: sempre in Centurio la tromba che perstrinxit aures (v. 17) non si limita a “ferire” le orecchie, ma, più icasticamente, le “accartocciò”, come pure il fremunt del v. 38 viene riformulato con “sono agitatissimi” e, del pari, la tabes che impedisce la vista ai soldati (v. 53) si raggruma nell’immagine “un poco grandguignolesca”, secondo la felice definizione di Traina, di “quel macello sugli occhi”.
Centurio, Thallusa, Pomponia Grecina, Agape, Paedagogium, Fanum Apollinis, Post occasum urbis, i poemi cristiani di Giovanni Pascoli, sono autentici capolavori della letteratura mondiale. Il più celebre di essi è sicuramente Thallusa, il poema dedicato alla figura della schiava dal nome greco (Thallusa significa “la fiorente”), scritto nel 1911, rappresenta la dolorosa risposta di Pascoli all’ottimismo cristiano di Manzoni. L’idea, il germe incipitario della lirica viene dalla celebre strofa della Pentecoste (v. 65 sgg.), il cui incipit è trascritto da Pascoli proprio nell’autografo del poemetto: “Perché, baciando i pargoli, / la schiava ancor sospira? / E il sen che nutre i liberi / invidiando mira? / Non sa che al regno i miseri / seco il Signor solleva?/ Che a tutti i figli d’Eva / nel suo dolor pensò?”. Ma, immagina Pascoli, se quel bambino, proprio perché schiavo e figlio di schiava, fosse stato strappato crudelmente alla madre?
Per l’altro celeberrimo fra i poemetti, Pomponia Graecina, composto nel 1909 e inviato alla competizione internazionale di Amsterdam presumibilmente con il motto primaque per caelum (come si ricava dall’autografo), Pascoli — ed è questo un ottimo specimen per comprendere come lavorasse la creatività del poeta — si ispira questa volta a due fonti storiche: la prima di esse è Tacito, Annales 13, 32 (sotto l’anno 57 d.C.): “E Pomponia Grecina, donna d’alto rango, moglie di Aulo Plauzio che riportò l’ovazione sui Britanni, accusata di seguire culti stranieri (superstitionis externae rea) fu demandata al giudizio del marito. Questi, secondo l’antico costume, alla presenza dei parenti, processò la moglie e la proclamò innocente. Ebbe lunga vita questa Pomponia e continua malinconia. Dopo l’uccisione di Giulia, figlia di Druso, per arte di Messalina, visse quarant’anni sempre in lutto e sempre col cuore triste (non cultu nisi lugubri, non animo nisi maesto egit)”.
Pascoli accolse la tesi che questa superstitio externa fosse il cristianesimo (cfr. M. Sordi, Il cristianesimo e Roma, Bologna 1965, p. 68 sgg.). L’altra fonte antica è l’iscrizione funeraria cristiana di tale “Pomponios Grekeinos” risalente alla fine del II secolo, scoperta da De Rossi in una cripta del cimitero di San Callisto, e che Pascoli, con confessato arbitrio, volle anticipare di un secolo, immaginando che si trattasse dell’iscrizione di un nipote di Pomponia, giovanissima vittima della persecuzione neroniana dei cristiani.
Questa complessissima rete di dotti rimandi letterari e storici, di cui abbiamo qui riportato soltanto qualche limitatissimo cenno, viene ricostruita doviziosamente, per ciascuno dei poemi, nel Commento (p. 169-226), seguito da un utile Glossario (pp. 227-230) retorico e stilistico, accorgimenti che restituiscono al lettore la fantasia, la freschezza, la capacità di penetrazione storica e il sentimento poetico di questi componimenti troppo spesso misconosciuti o mal conosciuti e che rappresentano invece uno dei vertici della produzione pascoliana.