Forse c’è stato un momento di spaesamento apprendendo la notizia che il Nobel per la letteratura era andato a Patrick Modiano. Forse molti hanno interpellato altri autori e amici lettori sperando in qualche notizia più approfondita (ma esiste davvero?) per cercare di capire come mai da noi, in Italia, questo autore fosse praticamente sconosciuto e ciononostante fosse stato insignito del premio per eccellenza.
A ottobre, al tempo della designazione, l’unica edizione italiana in formato digitale era Dora Bruder, nato dall’urgenza di Modiano di capire cosa successe a una giovane ebrea scomparsa nel 1941, durante l’occupazione tedesca di Parigi. L’autore, a cinquant’anni di distanza, ritrova un vecchio ritaglio del Paris-Soir in cui i genitori di Dora ne denunciavano la scomparsa. Dunque, non aspettatevi un libro di fiction.
Dal ritaglio di giornale inizia una ricerca all’indietro, in un tempo in cui lo stesso Modiano non era ancora nato (è del 1945). L’autore si avventura in una ricostruzione di momenti lontani ma documentati e presenti nella sua memoria essendo egli stesso figlio di un ebreo di origini italiane. La narrazione è principalmente un paziente lavoro filologico, una ricostruzione resa possibile dalla consultazione di vecchi registri sopravvissuti ai roghi, degli elenchi telefonici dell’epoca, dei documenti miracolosamente scampati alla distruzione, e da annebbiate testimonianze di qualche superstite (non solo dell’olocausto ma anche del tempo). Parigi viene ricostruita nel lavoro di memoria di Modiano, nella parte di topografia ormai inesistente, dopo che nel dopoguerra alcune zone erano state riconfigurate, per far dimenticare che in quella tal strada erano state tenute prigioniere migliaia di persone, e in quell’altra ne erano state nascoste altrettante. Per far dimenticare l’orrore. Quindi leggiamo di incroci, di vie piene di palazzi e negozi, cinema e chiese nel 1920, molto diversi nel 1940, e di cui a malapena si riconosce qualche elemento nel 1996, anno in cui Modiano scrive.
Inseguendo Dora la narrazione si disperde in tanti rivoli. Entrano in scena personaggi che lo stesso autore non conosce: ebrei perseguitati, fuggitivi sotto falso nome, disperati. Le loro vicende sono accompagnate dagli interrogativi ad alta voce dello scrittore, tanti perché? la maggior parte dei quali rimane senza una risposta, alla fine del libro. Le stesse azioni di Dora sono incomprensibili per l’autore: la sua scomparsa e la sua breve riapparizione non hanno un apparente perché, fino al documento finale che ne certifica la presenza ad Auschwitz.
Può sembrare faticoso, per chi non ha familiarità con Parigi, leggere citazioni quasi ossessive di strade e incroci, o il ripetersi delle stesse domande circa la sorte di Dora. La scrittura risente dell’arrovellamento di Modiano su un effetto (la scomparsa della ragazza) apparentemente senza una causa, presenta quei grumi che rendono la lettura non sempre scorrevole, perché la ricerca è faticosa e dunque anche la lettura deve esserlo.
Il libro di per sé tratta un tema cupo e assai triste che allude non solo alla memoria di un evento antropologicamente traumatico ma fornisce l’occasione all’autore di scandagliare qualcosa anche del proprio passato. Un viaggio a ritroso alla ricerca delle radici, non solo come ebreo ma come individuo. Appare evidente che Dora è un puro espediente per fare luce sulla sua storia soprattutto quando Modiano riporta le storie di altri tre scrittori (Friedo Lampe, Felix Hartlaub e Roger Gilbert-Lecomte) “finiti” proprio tra il 1941 e il 1945. Anch’egli in gioventù aveva tentato la fuga da una vita che non aveva forse molti legami sentimentali. Il padre, citato nel corso della narrazione in situazioni non proprio lusinghiere, si era allontanato da casa molto presto e non è una figura positiva. La madre, attrice di teatro, lo aveva affidato piccolissimo ai suoi genitori, fiamminghi, per inseguire la sua passione e la sua vita. Per Modiano l’idea di famiglia corrispondeva a un luogo senza punti fermi e la sua autobiografia, Un pedigree, altro non è che un tentativo di fermare, nero su bianco, non tanto “quello che ho fatto io, ma quello che i miei genitori hanno fatto a me”. Come è facile immaginare, anche questo libro presenta personaggi, nomi associati a strade o piazze come tessere di un mosaico, nel tentativo di ricostruire la propria carta di identità in un tempo che ormai non esiste più.
E di ricerca di identità parla anche un altro libro, La rue des boutiques obscures (Missing person), scritto in prima persona da un detective privato che ha perso la memoria, libro che gli è valso il Prix Goncourt nel 1978. Anche qui il protagonista annaspa tra nomi, strade e ricordi artificiali, e il lettore viene avvolto dalla nebbia di un viaggio a ritroso. Sarà tutta finzione? Non è necessario essere ebreo per perdere l’identità, sembra suggerire l’autore, ed è proprio per l’orrore dello spodestamento dell’individuo che l’Accademia ha inteso premiarlo, con parole che un po’ ricordano la motivazione che valse il Nobel a Herta Muller, un’altra scrittrice che con i brutti ricordi ha fatto un buon lavoro. Modiano è stato ricompensato per “l’arte della memoria con cui ha evocato i destini umani più inafferrabili”. Ipse dixit Peter Englund (segretario dell’Accademia svedese) ben consapevole che questa scelta avrebbe provocato l’incredulità di molti, dello stesso Modiano per primo. “In Francia è rinomato ma all’estero pochi lo conoscono… è il Proust del nostro tempo”, Englund avrebbe così battezzato il “nuovo” autore in una dichiarazione successiva, rafforzando le speculazioni di chi crede che sia abitudine dell’Accademia premiare autori che vendono poco. Senza voler togliere niente al meritevole Modiano, forse l’accostamento a Proust, che pure aveva usato lo scandaglio della memoria per donarci un quadro di una società ormai inesistente, risulta fuorviante.
Una delle sue fortune sembra essere stata la frequentazione di Queneau, amico della madre e docente di geometria alle superiori. Queneau lo introdusse al mondo letterario, cosa non da poco per un autore in cerca di collocazione, portandolo con sé a un party di Éditions Gallimard. Il resto sembrò facile per Modiano, autore di libri per bambini, sceneggiatore di diversi film (famoso per il controverso Lacombe, Lucien del 1978, diretto da Louis Malle), che ha sempre prediletto una narrazione breve e incisiva (i suoi libri non superano le 130 pagine). Schivo e riservato ha appreso del premio Nobel da una telefonata di sua figlia: si è dichiarato sinceramente curioso di andare a Stoccolma, a cercare un altro perché.