Questa sera, presso la Sala Verri del Centro Culturale di Milano, avrà luogo un evento inatteso. Si festeggerà un compleanno speciale. Ci saranno Sergio Belardinelli, Mauro Magatti e altri amici. 

Non so se qualcun altro festeggerà. Sarà perché sono settant’anni — quando mai si festeggia un settantennio? —, anche se il festeggiato è di quelli che bisognerebbe ricordare sempre. 



E’ un libro, uno dei più grandi libri del XX secolo, uno dei più necessari, uno dei grandi capolavori. Il suo autore, Theodor W. Adorno, e la Scuola di Francoforte, di cui faceva parte (con Max Horkheimer, Herbert Marcuse e, spiritualmente, Walter Benjamin) hanno goduto, quando “c’era il pensiero” (G. Gaber), di grande prestigio. Ma quando il pensiero passa di moda, anche di loro si parla meno. 



Il titolo del libro, Minima Moralia, dovrebbe risuonare nelle orecchie dei non più giovani. Scritto in America tra il 1944 e il 1945, anche se pubblicato nel 1951, Minima Moralia è tra i primi grandi testi che costellano l’ultima fase — quella editorialmente più produttiva perché finalmente realizzata in tempo di libertà — della Scuola di Francoforte. 

Se mi permetto di sottolineare l’evento non è perché io abbia una qualunque autorità per parlare di questo libro, ma solo perché Minima Moralia mi accompagna da almeno trent’anni, e si può dire che, con I Demoni di Dostoevskij, sia il libro che ho riletto più volte nella mia vita. 



Michel Foucault diceva che il pensiero teorico ci è utile, se non altro, per essere “un po’ meno governati”. Minima Moralia rappresenta il punto più alto in quest’ordine di esigenze. E’, si potrebbe dire, il capolavoro di un pensiero resistenziale che coincide con il pensiero stesso, che è una sorta di “resistenza nella differenza”. 

Mi spiego. Tutto è potere, a questo mondo: non solo quello politico o economico o dei mezzi di comunicazione ma anche quello quotidiano, che si esercita in un ufficio, alla stazione del metrò, in famiglia e perfino all’interno di un atto creativo come girare un film, o scrivere un romanzo. 

La caratteristica del potere è quella di omologare tutto. L’ideale è che tutti la pensino allo stesso modo, preferiscano le stesse cose, abbiano le stesse opinioni, guardino gli stessi film e così via. L’eliminazione delle differenze è il solo imperativo rimasto a un potere che si concepisce da solo (perciò non sa risolvere nessun problema). Lo chiamano “pensiero unico” ma del pensiero non ha niente.

Per combattere l’omologazione occorre starci dentro: dentro la politica, l’economia, dentro il metrò, dentro il romanzo. Affermando un pensiero quotidiano, tattico, espresso perlopiù in piccoli gesti, che è come la materia oscura che costituisce il 90 per cento della massa dell’universo, noi opponiamo un argine a tutto ciò che cerca di delegittimare il nostro io, mostrandone la debolezza.

Scritto negli anni degli orrori nazisti, Minima Moralia non è solo un libro contro l’oppressione e il fanatismo ideologico, ma allarga la visuale: il tiranno più odioso non è, nonostante tutto, che una metafora di un’alienazione universale, di una falsificazione cui nemmeno i “salvatori” americani sono estranei. 

Le vicende storiche che Adorno aveva davanti agli occhi lo condussero a identificare il movimento di falsificazione (dell’intelligenza, degli affetti, dei rapporti, di tutto) come un movimento universale. E anche se la critica marxista gli offre gli strumenti per leggere e descrivere questo baratro, tuttavia il marxismo si mantiene in lui a livello fenomenologico. 

Attraverso la fatica quotidiana del pensiero — che ci obbliga a essere sempre un po’ diversi da noi stessi, disponendoci al nuovo, vorrei dire alla realtà se non fosse una parola molto ambigua — noi facciamo esperienza della grande falsificazione (possiamo anche ignorarla godendone i vantaggi) e al tempo stesso comprendiamo che non si esce dalla menzogna se non assumendo, nei confronti di tutte le cose, la prospettiva della loro redenzione.

In uno scritto tardivo, il grande amico di Adorno, Max Horkheimer, identificherà questo atteggiamento del pensiero come nostalgia del totalmente-Altro, rivelando la natura religiosa che ogni esperienza intellettuale ha nel tentativo stesso di mantenersi viva sotto i bombardamenti del potere e della menzogna.