E’ solo un caso che l’attentato in Tunisia si sia consumato nel maggiore museo del paese, il Museo nazionale del Bardo, dopo gli spari in Parlamento, e lasciando a terra 24 vittime? E’ solo un caso che il maggior attentato al Cairo sia avvenuto presso la Biblioteca Nazionale e l’adiacente Museo d’arte islamica? E’ sempre solo un caso che l’Institut d’Égypte, fondato da Napoleone nel 1798, sia andato in fiamme con tutti i suoi geroglifici? E che il maggior massacro degli ultimi decenni in terra egizia sia avvenuto in un tempio funerario a Luxor? Ed è sempre solo un maledetto caso di fortuità, di contingenza, che i miliziani del califfato di al Baghdadi abbiano preso a mazzate le opere del Museo di Mosul, siano esse copie o originali? Ed è sempre un caso che nei video dell’Isis si inneggia a distruggere il Colosseo e il Duomo a Pisa? 



Gli estremisti islamici negli ultimi anni non vogliono gettare soltanto terrore (per questo basterebbe un attentato dentro i treni o la metropolitana come accadde a Madrid o Londra nel 2004-2005): vogliono simbolicamente abbattere o desertificare quei luoghi che sono la base della nostra civilizzazione. I musei e i luoghi musealizzati infatti che cosa sono? Sono luoghi dove le persone vanno ad ammirare quanto di magnificente e di raro hanno prodotto le civiltà o le epoche precedenti. Quello che per noi è ammirazione, studio, approfondimento dei manufatti e degli alfabeti del passato, per loro è adorazione di un simulacro, è adorazione che diventa idolatria e ci allontana dalla shari’a, dalla strada da seguire.  



Nel Corano, nella Sunna, negli hadith, negli scritti dei teologi o giuristi come Ibn Taymiyya o Abd Allah al-Azzam o al-Mujahid o al-Nawawi o al-Wahhab, moltissime frasi invocano e esortano i musulmani a coprire o distruggere le immagini e i luoghi dove avviene una simile idolatria e, di conseguenza, nelle letture più estreme, ad uccidere chi viene sedotto da queste distrazioni figurative. “O voi che credete! In verità il vino, il gioco d’azzardo, le pietre idolatriche, le frecce divinatorie sono immonde opere di Satana; evitatele affinché possiate prosperare”. C’è scritto così nel Corano (Sura V, 90). 



Negli hadith, che sono i racconti sulla vita e sui detti di Maometto, che compongono la Sunna, il secondo libro sacro dopo il Corano, ma anche negli scritti dei primi giuristi o commentatori della vita del Profeta, c’è scritto: Non entrano gli angeli nella casa in cui c’è un cane o un’immagine che rappresenta una creatura”, “Il profeta ordinò che gli idoli venissero estromessi e distrutti”, “Se delle effigi si trovano in direzione della Mecca, appendi un telo sopra di loro e prega”, “Nel giorno della Resurrezione, gli uomini che riceveranno da Allah i castighi più terribili saranno i pittori”. 

I pittori avranno la pena più dura perché cercano di imitare il gesto della creazione che è solo di Allah. Nel raffigurare o nel ritoccare immagini già realizzate, devi “decapitare gli animali perché non sembrino vivi, e fare in modo che assomiglino ai fiori”. 

Per lo studioso al-Mujahid, vissuto tra 642 e il 718-722, erano vietate tutte le rappresentazioni dei viventi, compresi gli alberi da frutto. Per il giurista al-Nawawi (1233-1277), erano proibite tutte le immagini degli animali: ogni immagine di creatura vivente è peccaminosa, sia che si trovi “su un abito, su un tappeto, su un dirham, su un dinar, su un soldo, sulle stoviglie, o su un altro oggetto”. 

Per la gran parte degli ulema, cioè per i dotti nelle scienze religiose, è chiara e severa la condanna verso le immagini. E poi c’è Ibn Abd al-Wahhab, che da quando è vissuto nel Settecento, ha stimolato la creazione di un movimento fondamentalista nato sul suo pensiero che prevede l’intransigente condanna di tutto quello che distrae dalla rigorosa lettura del Corano, e tra le cose che massimamente distraggono vi sono le immagini, le pitture di figure umane. I seguaci di al-Wahhab sono oggi molto diffusi: Osama bin Laden si ispirava a lui; molti terroristi hanno la sua opera scritta come riferimento per i loro attentati; molti integralisti ne sono influenzati. Yusuf al-Qaradawi, che è stato presidente del Consiglio europeo delle fatwa, ha dichiarato di maledire le statue perché esse incarnano tre diverse e pericolose tentazioni: risvegliare bassi istinti, ambire a sostituirsi al Creatore nella creazione della vita, adorare un feticcio, anziché seguire la strada indicata dal Profeta. 

Colpire un museo, abbattere le statue o assassinare i turisti lì presenti, non è un gesto teologicamente infondato: per questi terroristi che stanno colpendo le collezioni d’arte, i siti archeologici, le biblioteche, significa distruggere le opere che distraggono gli uomini da Maometto. Non sono attacchi ai turisti, ma a quei turisti adoranti “le pietre idolatriche, le frecce divinatorie” di cui ci compongono i musei. 

Ci saranno prevedibilmente altri attentati nei luoghi musealizzati: la nostra civiltà ha assegnato ad essi una funzione fondamentale. Chi vuole incenerirli ha assegnato una funzione altrettanto importante ma opposta: sono luoghi dove si conservano “immonde opere di Satana”. Distruggerle e uccidere chi le idolatra non è un dettaglio secondario, transitorio, dell’azione terrorista. E’ uno dei perni teologici dottrinali su cui si regge la loro inaudita pazzia.