Anche se la questione è seria, verrebbe da dire una battuta. Il premier Renzi ce l’ha proprio con il matrimonio: dopo la legge sul divorzio breve, vuole proibire “per legge” I promessi sposi, il romanzo-capolavoro di Alessandro Manzoni. È quanto ha affermato lunedì alla Luiss School of Government di Roma: “La penso come Umberto Eco: I promessi sposi a scuola andrebbero proibiti per legge. Perché obbligarli li ha resi odiosi e invece così tornerebbe il fascino per un capolavoro assoluto”. 

Ormai l’abbiamo capito: l’Italia è un paese dove tutti si intendono di tutto. Ecco dunque un premier-critico letterario, esperto di docenza di letteratura italiana. L’idea sottesa sembra vera: solo ciò che impariamo liberamente diventa conoscenza e bellezza; in realtà nasconde un veleno utopistico: presume infatti che l’essere umano, se lasciato libero di scegliere senza indicazioni né guide né maestri (tale è uno scrittore classico e chi lo propone), sia autonomamente in grado di scegliere il meglio e riconoscere il valore. 

La realtà è il granitico scoglio contro cui si infrange questa menzogna, la stessa realtà che dimostra come la libertà assoluta e individuale, unico valore rimasto all’Occidente quasi come un feticcio, stia diventando sempre più arbitrio dei più forti e ricchi. Figuriamoci poi i ragazzi: davvero possiamo credere che dei quindicenni, facciamo pure dei diciottenni, riscoprano un’opera come I promessi sposi se liberati dall’obbligo dello studio? Suvvia. 

Ma paragonandosi fino in fondo con l’assioma di Renzi-Eco e applicandolo in senso lato, la scuola stessa andrebbe proibita per legge, soprattutto quella, appunto, dell’obbligo. Non stiamo a raccontarcela: la maggioranza di chi va a scuola, sia per insegnare che per studiare, non è felice di andarci. Per moltissimi la scuola è “odiosa”, esattamente come il romanzo di Manzoni. Tutta la scuola è una grande “promessa sposa”. E allora perché non proibirla per legge? Milioni di annoiati ne riscoprirebbero il fascino, l’importanza per il loro percorso formativo, ecc. ecc., tutte le cose che ci affatichiamo inutilmente a spiegare ai nostri ragazzi per motivarli a studiare. Che senso ha la scuola “dell’obbligo” di fronte a un’ipotesi come quella renzoechiana? Coraggio, amici, se dobbiamo fare una riforma, facciamola bene: che ognuno impari solo ciò che lo affascina! Pazienza se la prima forma d’arte studiata diventerà, statistiche alla mano, la pornografia e le scienze motorie preferite saranno svuotamento di lattine di birra e calcio, rigorosamente praticato dalla propria nicchia sul divano!

Ma meglio sarebbe non fare certe boutade, tanto più se si è presidenti del Consiglio. Il problema vero è che chi insegna non sa più perché proporre I promessi sposi, o la Divina Commedia (altro bersaglio che ogni tanto entra nel mirino di qualche abrogatore), o altro di ciò che per secoli si è studiato, chissà perché. 

Il romanzo manzoniano, in realtà, dice chi siamo come italiani e come uomini della modernità, e lo dice nel bene e nel male, con uno stile splendido, addirittura inventando una lingua, o almeno potentemente aggiornandola. Ci sarà un motivo per cui nell’Italia dell’Ottocento, abitata da una massa di analfabeti che quotidianamente parlavano mille dialetti diversi dal toscano in cui è scritto, il romanzo fu immediatamente un best-seller, e ancora non abbiamo smesso di leggerlo. Se devo capire la mia identità, io vado a leggere proprio quello.

Ma qui occorre guardare a ciò che è forse la sola cosa utile della sparata renziana: la citazione, la fonte. Perché se gli insegnanti hanno perduto la capacità di far leggere la letteratura, non è colpa loro, ma di chi doveva prepararli. E l’unico percorso sistematico di formazione di un insegnante è, a tutt’oggi, l’università dove si è laureato. Un insegnante italiano sta tutto nell’inizio: così come il suo picco di carriera è l’entrata in ruolo, poi più niente, allo stesso modo gli esami universitari sono l’unico momento in cui può studiare e prepararsi secondo un piano di studio; il resto della sua formazione avviene solo qua è là, in modo volontario e saltuario. E chi ha incontrato l’insegnante all’università? Umberto Eco. Ecco dunque il nocciolo della questione: le nostre università sono zeppe di umbertoechi che rifiutano il cuore dei Promessi sposi, il volto umano che ne scaturisce e ci educa, e talvolta anzi lo combattono, preferendo un nichilismo irresponsabile come ipotesi di ciò che siamo, che non permette più di capire come proporre le opere più belle della nostra storia e consente al Renzi di turno di sparare giudizi irrealistici e casuali.