Moriva esattamente quarantanove anni fa Carlo Carrà, grande pittore che aderì prima al futurismo e successivamente alla corrente metafisica. Un evento che suggeriamo a Google di celebrare in futuro, con uno dei suoi soliti doodle artistici che hanno sempre il grande merito di portare all’attenzione (praticamente) di tutti gli internauti. 



Figlio di artigiani, nasce a Quargneto (Alessandria) l’11 febbraio del 1881. Sin da piccolo, Carlo mostra doti artistiche che lo distinguono dagli altri bambini. Nonostante una lunga malattia ed esser stato costretto a star a letto, il giovane Carrà inizia a lavorare a 12 anni come decoratore e stuccatore dei muri a Valenza. Nel periodo tra il 1899 e il 1900, per lavoro, si trasferisce a Parigi dove decora gli stand dell’Esposizione Universale. E’ proprio a Parigi, andando a visitare il Louvre, che sviluppa una curiosità sull’impressionismo scoprendo noti artisti della tendenza artistica francese come Manet, Renoir, Cézanne, Delacroix, Monet e Gauguin e inizia a documentarsi anche sulle attività di Michail Bakun e Karl Marx, avvicinandosi così ad alcuni anarchici. Contemporaneamente frequenta, tra gli anni 1904 e 1905, la Scuola superiore d’Arte, con lezioni serali a Milano. In quegli anni morì l’anarchico Galli, ucciso dal custode della fabbrica, e Carrà, ritrovandosi casualmente al suo funerale, dipinse alcune opere che successivamente divennero l’opera molto nota “Il funerale dell’anarchico Galli”. Avendo vinto due premi (di 500 e 175 lire) come decoratore e facendosi aiutare economicamente da qualche parente, riesce ad iscriversi all’Accademia di Brera dove fu alunno di Cesare Tallone nel 1906. E’ proprio in questa Accademia che fece conoscenza con noti artisti italiani come Umberto Boccioni e Bonzagni. Carlo Carrà si avvicinò anche al Divisionismo e nell’11 febbraio 1910, insieme a Luigi Russotto e Filippo Tommaso Marinetti firmò e stese il Manifesto Futurista, che esortava tutti i giovani artisti a cambiare e esprimersi rinnovando il proprio linguaggio espressivo. Avendo dato vita ad un movimento artistico e culturale che sarebbe stato seguito da molti artisti del XX secolo, anche Gino Saverini e Giacomo Bella vi aderirono. Durante il periodo futurista dipinse “La stazione di Milano”, ” Luci notturne”, “La Galleria di Milano”, “Donna al balcone”, “Trascendenze plastiche” e “Manifestazione interventista”. Nel 1913, collabora, con disegni ed articoli, con la rivista “Lacerbera”, diretta da Soffici e Papini. Trasferitosi a Parigi nel 1914, frequenta alcuni pittori delle avanguardie ma già i suoi disegni mostravano segni di un cambiamento. Dopo sei anni infatti, ritornato dal campo di guerra, Carlo Carrà si avvicino alla pittura metafisica, allontanandosi dal Futurismo ravvicinandosi a De Chirico. E’ nel 1919 che convola a nozze con Ines Minoja e collabora con la rivista “Valori plastici” per due anni. Le opere che distinguono Carrà in quei periodi sono: “L’idolo ermafrodito”, “Madre e figlio”, “Il figlio del costruttore”, “L’amante dell’ignegnere”, “L’attesa” e “Meriggio”. Nel 1921, divenne critico d’arte del quotidiano milanese “L’Ambrosiano”, lavoro che terra saldo per diciassette anni. E’ proprio in questi anni che Carlo Carrà si accosta al realismo lirico. Dal 1921 al 1925 il pittore si accosta invece al Naturalismo, dipingendo marine in Liguria, i campi della Lombardia, rimanendo estasiato però, nel 1926, dei paesaggi della Versilia e dei rilievi toscani sul mare. Nello stesso anno si stabilizza a Forte dei Marmi dipingendo opere della Versilia che ormai era scomparsa. Le opere di Carrà assumono un senso di malinconia e solitudine, stile che si porterà per tutte le opere da quel momento in poi. Nel 1933, scrisse il Manifesto della pittura murale di Sironi e nel 1938 affrescò la Triennale di Milano e il Palazzo di Giustizia. Negli anni quaranta, insegna all’Accademia di Belle Arti di Brera dove avrà come studenti Oreste Carpi e Giuseppe Ajmone. In questo periodo conobbe e strinse un legame con Leda Rafanelli, anarchica, ex moglie di Alberto Ciampi. Dopo la guerra, Carlo Carrà, cambia gli ambienti dei suoi dipinti, aggiungendo luce con tecniche di pittura più morbide e nel 1962, al Palazzo Reale di Milano, vengono mostrate tutte le raccolte delle sue opere. Quattro anni dopo però, il 13 aprile 1966, in seguito ad una malattia fulminante, muore nel capoluogo lombardo.

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