Cento anni fa, il 17 aprile del 1915, si spegneva nella cittadina scozzese di Dumfries Andrew Kerins, conosciuto con il suo nome da religioso di Fratello Walfrid. Si era in piena guerra, dal fronte francese giungevano ogni giorno notizie tragiche delle battaglie combattute nelle trincee, con gli interminabili elenchi di caduti. Tuttavia, nonostante il dramma del conflitto, la morte di questo fratello marista irlandese non passò inosservata.
Fratello Walfrid infatti era stato un vero e proprio apostolo della carità nella Glasgow tardo-vittoriana, anche se il motivo per cui passò alla storia fu un altro: il frate infatti fu il fondatore di una delle squadre di calcio più famose al mondo: il Celtic Football Club, la prima squadra non latina a conquistare, nel 1967, la Coppa dei Campioni. Questo glorioso sodalizio calcistico, dalle inconfondibili divise a strisce orizzontali (the Hoops) biancoverdi, era nato dal grande cuore di questo frate, che si adoperava instancabilmente per aiutare i più poveri e i più emarginati della città di Glasgow, allora un grande centro industriale, la seconda città dell’impero britannico, dove però la mortalità infantile era quasi pari a quella di Calcutta.
Andrew Kerins era nato a Ballymote, un villaggio nel sud della contea di Sligo, in Irlanda, nel 1840. Durante la sua infanzia dovette assistere all’apocalisse che si abbatté sull’Isola di Smeraldo: tra il 1845 e il 1848 una devastante carestia, aggravata dall’insensato sfruttamento delle risorse irlandesi da parte del governo inglese, provocò la morte per inedia di più di un milione di persone, il 18 per cento dell’intera popolazione. Un altro milione di persone furono costrette ad emigrare, cercando salvezza per sé e per le proprie famiglie che sostenevano da lontano con le rimesse del loro lavoro. Gli irlandesi andarono negli Stati Uniti, in Canada, in Oceania, e i più poveri, quelli che non potevano pagarsi il biglietto per la traversata, andavano nelle grandi città industriali inglesi e scozzesi.
La famiglia Kerins riuscì a sfuggire a questa tragedia, vedendo tuttavia molti suoi componenti emigrare per cercare pane e lavoro. Il giovane Andrew non dimenticò mai ciò a cui assistette in quegli anni: il Nord-Ovest dell’Irlanda — dove era nato e cresciuto — fu tra le zone più colpite dalla Gorta Mòr, la grande letale carestia. Riuscì a studiare, a diventare insegnante, e a ventiquattro anni entrò nella Congregazione dei Fratelli Maristi, il cui carisma era quello dell’insegnamento.
Prese il nome di fra Walfrid, e tale rimase sempre. Non diventò prete, ma da religioso si occupò di insegnare nelle scuole primarie. La Congregazione lo mandò, appena trentenne, a Glasgow. Qui gli immigrati irlandesi erano migliaia, confinati in quartieri-ghetto, in particolare nella parte est della città. Erano poveri, e per di più discriminati per la loro fede cattolica.
La Scozia calvinista e unionista (una lealtà politica verso Londra che aveva dato benefici solo alle classi alte) guardava con sospetto e disprezzo a questi immigrati, le cui braccia peraltro erano indispensabili alle grandi industrie di Glasgow, così come alle miniere delle contee limitrofe. Fratello Walfrid insegnava nelle umili scuole parrocchiali, fondò anche istituti, senza alcuna sovvenzione pubblica, ma si rese conto che nei vicoli di Glasgow, nelle case malsane e sovraffollate, c’era un bisogno precedente a quello, pur importantissimo, dell’istruzione: mancava il pane. Walfrid rivide le scene che aveva visto anni prima in Irlanda: vide gente cui mancava il necessario, madri che non riuscivano a sfamare i propri figli, malati privi di cure. Così decise di affiancare all’attività di insegnante un infaticabile impegno di aiuto ai poveri.
Fu così che alla fine del 1887 ebbe una geniale idea: il Foot Ball in Scozia era diventato già una realtà importante. Le partite dei Rangers, degli Hearts of Midlothian e degli Hibernians di Edimburgo richiamavano già migliaia di spettatori. Si sarebbe potuto fondare una squadra, lì, tra gli slums di Glasgow, con l’aiuto di qualche parrocchia, una squadra gli incassi delle cui partite sarebbero serviti per sostenere i poveri, per portare cibo sulle loro tavole. Nel novembre del 1887 fra Walfris si incontrò nei locali della parrocchia di St. Mary, nel cuore dell’East End, e insieme ad alcuni laici di buona volontà, gli esponenti più significativi della comunità cattolica, fatta da qualche proprietario di pub, di qualche operaio diventato impresario edile, e di un medico dal cuore grande che curava gratuitamente i suoi poveri pazienti, fondò il Celtic Foot Ball Club.
Il nome della squadra era stato oggetto di una certa ricerca, perché in molti volevano un nome che facesse esplicito riferimento alle origini irlandesi della comunità cattolica di Glasgow: Hibernians, Harps, Shamrocks furono tra i nomi presi in considerazione. Arpe e trifogli esprimevano bene l’identità irish, ma fra Walfrid volle un nome per così dire più ecumenico: un termine che fosse significativo anche per gli scozzesi, cugini gaelici degli irlandesi. Un termine che indicasse un’appartenenza, ma che non fosse strettamente confessionale o discriminante. Fu scelto dunque Celtic, mentre sui colori non ci fu alcun dubbio: il bianco e il verde, simbolo dell’Irlanda ma anche della celticità.
Nel 1888 la squadra cominciò a giocare le prime partite, e ben presto l’entusiasmo delle migliaia di cattolici di Glasgow e dell’intero Strathclyde trascinarono la formazione a grandi successi. Da squadra “dell’oratorio”, il Celtic divenne una squadra professionistica a tutti gli effetti, senza mai dimenticare però gli scopi e le finalità per cui era stata fondata.
Fra Walfrid non poté godersi a lungo lo spettacolo delle coppe e dei trofei alzati nel cielo di Scozia: nel 1893 infatti la sua congregazione lo trasferì a Londra, per cercare di replicare nella megalopoli inglese il lavoro fatto tra i poveri di Glasgow.
Tornò in Scozia da anziano, per morire nella tranquilla Dumfries, nel sud del paese.
Il Celtic non lo ha mai dimenticato, e all’ingresso principale del suo stadio, il Celtic Park, chiamato dai tifosi The Paradise, il Paradiso, è stata eretta una statua bronzea che raffigura il frate marista. E’ qualcosa di certamente unico, nel mondo dello sport, ma questo religioso non fu semplicemente il fondatore di una squadra di calcio, e il Celtic è molto più di questo: è una cultura, è un modo di essere, attento alla solidarietà. Ancora oggi una fondazione collegata al team devolve migliaia di sterline a favore di chi ha bisogno, delle vecchie e nuove povertà, e oggi il centenario di fra Walfrid sarà celebrato nell’unico modo che lui avrebbe voluto: il Celtic offrirà un pranzo a 500 homeless di Glasgow. E tutto questo mentre la squadra ha i bilanci a posto e si avvia alla conquista di nuovi trofei. Nel nome di Walfrid.