Come molti sapranno già, nel prossimo giugno cadrà l’ottocentesimo della Magna Charta Libertatum, uno dei pilastri della democrazia, inglese, europea, mondiale; di fatto, il primo passo verso la monarchia costituzionale.
Nessuno se lo immaginava, quando, a Runnymede, re Giovanni fu costretto a giungere a un compromesso con i nobili ribelli che, insieme ad alcuni vescovi e alla città di Londra, gli sottoposero quelle condizioni di pace tanto svantaggiose. Perché il famoso documento nacque come prosaico trattato di pace, oltretutto destinato al fallimento entro poche settimane.
Quella prima versione era infatti troppo estrema perché si potesse sperare fosse rispettata: basti pensare che introduceva un’idea assolutamente rivoluzionaria, vale a dire un comitato di 25 nobili che controllasse l’operato del re e lo costringesse a rispettare i patti.
Quel primo, rozzo trattato (il nome Magna Charta venne dopo, in una delle edizioni duecentesche successive, e fu ad esso attribuito solo per la sua lunghezza) fece la storia, perché ribaltò la tendenza, graduale ma inesorabile, dei re normanni e angioini a considerare la terra come proprietà personale e la trasgressione del diritto feudale come una regola. Giovanni aveva esasperato quell’atteggiamento; ora, sostennero quei ribelli, l’autorità di un re deve avere dei limiti prestabiliti. Soprattutto, nessuno, nemmeno un sovrano, può considerarsi al di sopra della legge.
Il documento dovette essere più volte rivisto negli anni e nei secoli; l’applicazione delle sue norme fu necessariamente lenta e faticosa, ma la via era tracciata. Alla Magna Carta si ispirarono la dichiarazione di indipendenza americana e anche, ancora più avanti, la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo; il che dovrebbe insegnare che i passi importanti della storia cominciano spesso in sordina.
Ogni manuale di storia che si rispetti riporta in calce almeno qualcuno degli articoli della Magna Carta (anche se suddivisione e numerazione furono operate solo nel Settecento). Tutti conoscono il dodicesimo e il trentanovesimo, che impediscono al re, rispettivamente, di introdurre tassazioni arbitrarie e di imprigionare o perseguire un uomo libero senza averlo sottoposto a regolare processo. Giustamente famoso è anche il pregevole quanto lapidario art. 40: “Nulli vendemus, nulli negabimus, aut differemus rectum aut justiciam“, “A nessuno venderemo, a nessuno negheremo il diritto o la giustizia”. In coda a questi, è possibile che il nostro bravo manuale aggiunga, se vuole essere preciso, l’importanza del pieno riconoscimento dei diritti comunali di Londra e degli altri centri mercantili (art. 13). Chiaro, era un documento redatto a più mani e ogni categoria aveva introdotto le clausole che più le premevano.
Resta da considerare la parte concernente la Chiesa; parte fondamentale, visto che l’arcivescovo di Canterbury altri non era che l’indomito Stephen Langton, fiero oppositore dell’assolutismo regio. Era stato Langton il primo ad appellarsi a uno statuto precedente che poteva servire da canovaccio; fu lui, ora, uno dei principali responsabili della stesura del documento.
La forza e la decisione di Langton si ispiravano all’eroismo di Thomas Becket, quel suo predecessore ucciso nella cattedrale per ordine di Enrico II (padre di re Giovanni). Ora, fu Langton ad inserire nella Magna Carta quello che poi fu noto come articolo 1; tanto importante da essere ribadito in coda al documento (art. 63); tanto importante da essere inserito, da allora in poi, nel giuramento di incoronazione dei sovrani inglesi. Recita semplicemente così: “Anglicana ecclesia libera sit“, la Chiesa inglese sia libera (dalle ingerenze dei sovrani). Era per quello, per preservare l’integrità della Chiesa e la sua libertà, che Becket aveva versato il proprio sangue. La libertà della Chiesa era essenziale, se si voleva porre un limite al dispotismo del re: Stato e Chiesa dovevano rimanere due entità ben distinte. Strano, ma solitamente i nostri manuali non ne parlano; come se gli articoli 1 e 63 non fossero mai stati scritti. Eppure, ci assicura Wikipedia, essi “sono ancora validi”. Ma che è, una presa in giro?
Si è visto, infatti, come andarono le cose sotto Enrico VIII, il quale, guarda caso, mentre con una mano depennava il famigerato articolo dal giuramento di incoronazione, con l’altra procedeva alla profanazione e alla distruzione del sepolcro di Becket. Da quel momento la Chiesa inglese divenne il fantoccio dei vari sovrani, che si divertirono a farne ciò che più pareva a loro, fino a diventare lo spettro informe e camaleontico che è oggi. E, comunque, da Enrico VIII fino alla guerra civile, con il montare della tirannia, tutta la Magna Carta divenne tabù.