Il primo viaggio che ha fatto san Giovanni Paolo II dopo la sua elezione è stato in America Latina. Paolo VI aveva promesso di aprire la III Conferenza dell’episcopato latino-americano a Puebla, in Messico. San Giovanni Paolo II ha voluto mantenere la promessa fatta dal suo predecessore prendendo per le corna, per così dire, fin dal principio, il problema più bruciante o uno dei problemi più brucianti del suo pontificato. Era la questione della teologia della liberazione ma, più al fondo, era la questione del marxismo e del cristianesimo.
A Puebla san Giovanni Paolo II pronunciò un ciclo di discorsi che costituiscono una vera e propria enciclica regionale, un’enciclica che espone verità universali ma a partire da una prospettiva storicamente determinata. L’intenzione era quella di accompagnare l’itinerario verso Dio dell’uomo latinoamericano che, inevitabilmente, inizia il suo percorso verso la verità a partire da una situazione esistenziale concreta. Per questo bisogna iniziare amando questo uomo concreto, la sua cultura e la sua storia.
Questo approccio mette da subito il Papa in contraddizione con il marxismo. Il proletario di Marx è un uomo senza qualità. Lo sfruttamento capitalistico lo ha alienato in modo tale che non ha più né religione né cultura né soggettività umana. È un essere totalmente alienato e proprio per questo può recuperare la sua umanità (o, meglio penetrare in una transumanità) solo attraverso il capovolgimento totale della società esistente. È questa differenza antropologica fondamentale a rendere impossibile l’uso del marxismo da parte della teologia cristiana come strumento di analisi della realtà. Il punto di partenza, del resto, non è l’analisi della realtà ma l’atto di amore (la grazia) che te la fa assumere e ti dona anche l’intelligenza che la comprende. Era il principio di una critica non materialista, non marxista, ma etica e cristiana dei sistemi sociali che opprimono l’uomo.
Fra i pochi che compresero esattamente e seguirono entusiasticamente il messaggio di san Giovanni Paolo II fu Jorge Mario Bergoglio, allora rettore del Seminario di San Miguel. Una volta lo andai a trovare a San Miguel insieme a don Francesco Ricci. A Bergoglio l’espressione “teologia della liberazione” non piaceva. Preferiva quella di “teologia del popolo”. Noi gli parlavamo di don Giussani e lui si entusiasmava all’idea che la comunione con Cristo è la vera liberazione dell’uomo. La critica del comunismo e quella del capitalismo nascevano, per san Giovanni Paolo II come per Bergoglio, dalla stessa radice: la grandezza della persona umana che il Padre ha rivelato in Gesù di Nazareth.