Cos’hanno in comune Jorge Mario Bergoglio e Sergio Marchionne (ma anche Mario Balotelli…)? Sono “italici”, in quanto tali veri consanguinei di Marco Polo e Cristoforo Colombo: i due europei che hanno aperto il mondo a Oriente e a Occidente, quando l’Italia moderna non c’era ancora ma l’italicità millenaria c’era già. E “italici” sono milioni di immigrati dall’Italia nei cinque continenti (e i loro figli e nipoti), un regista premio Oscar “americo-italiano” come Martin Scorsese, i tanti campioni del made in Italy e lo Slow Food di Carlo Petrini.
“Svegliamoci italici! Manifesto per un futuro glocal” (Marsilio) è un libro che teneva in testa e in tasca da vent’anni, Piero Bassetti: italiano/italico orgoglioso in proporzione agli 86 anni nati e vissuti a Milano facendo instancabilmente impresa, politica, cultura civile. Con un piede e un occhio sempre “fuori Italia”, anche se con la consapevolezza via via più forte che il genio di una comunità umana non è legato a un territorio ma a una way of life. E’ un volume che intreccia mille dimensioni: la curiosità del viaggiatore che a New York si sente chiedere “come si dice pizza in italiano?”; l’uomo di vertice in istituzioni pubbliche come Regione o Assocamere, il promotore di think tank politico-economici come Global & Locus.
“GLocal”, nelle riflessioni di Bassetti, non è affatto un fortunato brand giornalistico buono per tutti gli usi. E’ uno strumento d’indagine anzitutto storico: perché il Commonwealth o l’Hispanidad sono divenute world community riconosciute e — non è affatto un gioco di parole — “ItaliCity” non può proiettarsi globalmente? Una città rinascimentale virtuale che — nel serrato discorso analitico di Bassetti — è un’open source: una piattaforma di circolazione di valori, economici e culturali, che condividono un’identità e soprattutto quello che Bassetti chiama Italian sounding (un quid fatto di conoscenza e gusto, di capacità di pensare e di fare).
“Penso a personaggi come Mario Draghi, Sergio Marchionne, Diego Picentini, Carlin Petrini, Giorgio Armani, Gay Talese, Quentin Tarantino. E potrei andare avanti, interessando ulteriori campi d’azione: dalla moda allo sport, dal mondo della cultura a quello dell’economia. Ma penso anche a molti presidenti delle nostre camere all’estero, ai rappresentanti della rete cattolica nel mondo, con molti dei quali in questi anni ho avuto modo di collaborare, a quell’associazionismo cattolico che, nelle sue varie forme (dai già citati padri scalabriniani, ai comboniani, alla rete dei loro media, come il Messaggero di Sant’Antonio), ha saputo conservare il suo potere aggregante in un mondo globalizzato. E’ questo universo multidimensionale che Bassetti addita come “italicità” realizzata, e anche — ad un tempo — come insieme dei destinatari di un appello. È un salto percettivo, se vogliamo: da un negativo a un positivo, dalla difesa dell’italianità alla costruzione dell’italicità.
“I feel Italic”: così Bassetti saluta i suoi lettori alla fine di oltre 100 pagine tanto appassionate quanto documentate. Non è un post-italiano anglofono: è un italiano-di-sempre senza paura per il presente e il futuro. “Mi piacerebbe — scrive l’autore — ritrovare questo sentimento sul web, nei profili Facebook e Twitter, nei blog e nei siti di chi leggerà questo libro. Ma anche, e soprattutto, mi piacerebbe ritrovare quest’affermazione nei percorsi individuali di chi ha oggi venti o trent’anni e si affaccia al proprio paese e al mondo con le ambizioni di un giovane che vuole costruire per sé un futuro di soddisfazioni e realizzazioni. Nell’Italia della crisi, della disoccupazione giovanile alle stelle, quando si parla di giovani incombe uno spauracchio, divenuto famigerato mantra di un preciso periodo storico: la “fuga dei cervelli”. “Vadano e si sentano italici ovunque nel mondo”, è invece il nostro ammonimento”.
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Piero Bassetti, “Svegliamoci Italici! Manifesto per un futuro glocal”, Marsilio 2015.