Fouad Twal, di lingua e cultura araba, è dal 2005Patriarca latino di Gerusalemme. Discendente della prima comunità cristiana, la sua è la diocesi più antica del mondo, la sua cattedrale il Santo Sepolcro. Presente al Festival delle Religioni di Firenze, racconta volentieri di sé, della terra che gli è affidata, con voce chiara e poca diplomazia. Che pure esercita con costanza e pazienza, non solo con gli ebrei e i musulmani, ma con le diverse comunità cristiane che si contendono, a volte, i Luoghi santi. 



“Noi cattolici non abbiamo mai avuto problemi con nessuno, siamo buoni… anzi, io ho proposto sempre la mia mediazione tra armeni e ortodossi, che non è stata accettata. Peccato che ci siano scandali. Fanno la gioia dei giornalisti, dimenticano la Resurrezione e pensano alle dispute tra le comunità!”

Gli chiedo se sentono attenzione e vicinanza sulla situazione della loro terra, in bilico sul filo di una pace incerta, e indigeribile  per molti.



“Oggi più che mai l’attenzione mondiale si è trasferita sull’Isis, sullo stato islamico, sulla Siria, sull’Iraq, e pochi pensano alla Terra Santa, all’occupazione, ai muri che ci separano, ai check point, alla non-libertà di accesso ai Luoghi Santi. Nessuno parla più di noi, ma io continuo ad alzare la voce, a lamentarmi, ad avvertire l’opinione pubblica, non mi taccio, non ho il diritto di stare zitto. Alcuni non saranno felici di me, e io non sono felice di loro… Mi ricordo l’ultimo discorso di Benedetto a Ben Gurion, quando disse, con gran coraggio, “sono arrivato come amico degli israeliani, dei palestinesi, ma quanto soffro a vedere questi muri che vi dividono…”. 



Un altro papa ha pianto sui muri che separano quartieri e animi, nella sua ultima visita. 

“Papa Francesco è sceso dalla macchina bianca vicino al muro che separa i territori palestinesi, ha fermato l’autista e si è raccolto quattro lunghissimi minuti a pregare. Io credo che tutti noi fedeli, anche i musulmani, gli israeliani, i cristiani di altre confessioni, potremo dimenticare i bei discorsi di papa Francesco, ma nessuno dimenticherà questo gesto, quel suo poggiare la testa contro il muro per dire basta. Gli israeliani si sono arrabbiati per questa sosta, e io ho replicato: perché mai, è il vostro muro, lo avete fatto voi, lui si ferma per pregare, mica per mettere una bomba! Però la verità è dura”. 

I cristiani sono pochi, schiacciati tra la paura e l’indifferenza, ma non si sentono stranieri, tutt’altro.

“Noi siamo le origini. Loro, tutti quanti, devono capire che siamo i primi, e ne siamo siamo orgogliosi, siamo la prima comunità cristiana, è una sfida che accettiamo volentieri. I musulmani sono venuti cinque secoli dopo di noi. Dobbiamo avere il coraggio di rimanere, è la nostra terra, la terra dell’Evento, della salvezza. Io mi sento ogni tanto umiliato perché la gente spera tanto nel Patriarca, nel Papa e spesso sia il Papa che il Patriarca siamo incapaci di fermare questa macchina di violenza, di persecuzioni, d’ingiustizia che la mia gente, la nostra gente subisce. La terra Santa è la terra di tutti. Nessuno può dire: non mi interessa la Terra santa, è la terra di tutti, anche la vostra”. 

Chiede di sentirsi partecipi della loro fatica, di non lasciarli soli. “Io invito tutti a tornare a Gerusalemme, non solo per fare del turismo, ma per scoprire le nostre radici e la vita della prima comunità cristiana, assidua nella Eucarestia… nella preghiera, la carità. Questa è l’unica eterna novità, altro che nuova evangelizzazione, di cui ogni tanto si parla, che c’è di nuovo? Tornare agli Atti degli Apostoli, riprendere quel programma, è la novità”. 

E’ commovente la tenerezza, la trepidazione per questa città origine e destino dell’umanità, che tutti rivendicano come propria. Cita l’incipit del celebre The tale of two cities di Dickens, l’arabo Twal, e lo modula su Gerusalemme. 

“Città della pace, che non ha mai conosciuto la pace. Gerusalemme unisce tutte le fedi, i cristiani, e tutti li divide, Gerusalemme è una contraddizione, ha fatto piangere Gesù, e le sue lacrime sembrano non aver portato risultato, la Sua agonia continua attraverso le lacrime di tante vedove, orfani, innocenti, l’ingiustizia, l’occupazione militare… è il mistero di Gerusalemme. Alcune volte la risposta non c’è, bisogna accettare di non capire. Non puoi vivere, non puoi amare Gerusalemme senza la croce. Gerusalemme non dipende da nessuno, tutti dipendiamo da Gerusalemme. Gerusalemme deve essere la terra che accoglie, la Chiesa madre che accoglie, non sarà mai  esclusivamente di un popolo. Neanche la pace, non sarà mai per un popolo solo, o tutti godiamo di questa pace o continuiamo in questo ciclo di violenza che fa male a tutti, che fa male all’occupante e all’occupato”. 

La parola del Patriarca, la parola della Chiesa, è una sola, da tempo: due stati, con confini certi, una soluzione di giustizia per i profughi palestinesi, l’abbattimento di tutti i muri, lungimiranza nei nuovi insediamenti. Un’alternativa non c’è. 

“Io non ho mandato per parlare a nome degli arabi o degli israeliani, ma io parlo lo stesso, e dico: volete due stati? Facciamo due stati. Volete uno stato? Facciamolo, uno stato democratico, però, dove tutti possono votare. E con un milione e 700mila palestinesi si rischia un presidente israeliano che si chiama Mahamoud. Non si può gestire il conflitto senza avere voglia di risolverlo. Si sta facendo di Gaza martoriata una fucina di terroristi. Le condizioni degli uomini contano, e determinano le loro azioni. Bisogna saperlo”.

I cristiani, il suo piccolo gregge, oggi, è segno di contraddizione e instancabile riferimento di dialogo e comprensione. Non si preoccupa dei numeri, della scristianizzazione che, ricorda, è fortissima anche da noi. E’ erede di una famiglia di beduini, conosce la minoranza, l’esodo, le ripartenze, la tenacia e la fierezza.

“Non è facile essere cristiani, oggi, condividiamo questa grazia e questa sofferenza. Ma noi abbiamo l’esempio bellissimo dei fratelli iracheni, siriani, che sono arrivati profughi in Giordania. Alcuni potevano salvarsi, se cambiavano religione, invece hanno preferito perdere tutto, ma non la fede. Questa è una testimonianza bellissima per voi europei. E’ toccato alla carità della chiesa giordana aprire le case e i cuori per accogliere questi rifugiati. I rischi, il nostro piccolo numero ci rendono uniti più che mai. Il cortile delle chiese, delle nostre scuole sono la casa sicura per la gente: al di fuori c’è la paura e basta”. 

E c’è un altro segno di predilezione, in controtendenza rispetto al nostro esitare, alle nostre incertezze, al corso dei tempi, che pare fatale. 

“Quando papa Benedetto è venuto da noi gli ho detto: Santità, ho un problema con il Seminario… Lo so, lo so, mi ha risposto, dappertutto abbiamo problemi con le vocazioni… No, Santo Padre, il mio problema è che non ci sono abbastanza stanze! Non so dove mettere i seminaristi… Non è un problema! ha risposto, non è proprio un problema!”.


Un’intervista esclusiva a Fouad Twal, Patriarca latino di Gerusalemme, va in onda oggi, 15 maggio, alle 19.30 su Tv2000 nel programma Soul, condotto da Monica Mondo.