Due aspetti colpiscono nella lettura di questo libro di Massimo Camisasca, I misteri di Maria. La mia prima esperienza è stata quella di incontrare la persona di Maria, presentata a chi legge come una vera donna. Ella ha vissuto vicende umane paragonabili a quelle che viviamo anche noi. Una donna, perciò, in cui ci possiamo immedesimare. Maria, Giuseppe e gli apostoli — anch’essi presenti nel testo — non sono dei santi lontani nel tempo, e irraggiungibili per la loro vita virtuosa, tanto lontana dalla nostra. Vorrei citare brevemente alcuni esempi tratti dal testo. A pagina 24 l’autore racconta della partenza di Maria per la casa di Elisabetta. “Maria (…) si aggrega probabilmente a una carovana, rassicurando così Giuseppe e i suoi genitori. Ma parte. C’è in lei l’urgenza del dialogo con Elisabetta“.



La madre di Dio, come ognuno di noi, era mossa anche dal desiderio di condividere con qualcuno di più grande, una donna più avanti negli anni e piena di esperienza e fede, il fatto inimmaginabile che le stava succedendo. Desiderava condividere ed essere compresa. Oppure a pagina 55, ove è descritto l’inizio della missione di Gesù: “Nei primi tempi della sua missione pubblica Gesù non si allontana dalla Galilea. Tornava anche a Nazareth. Certamente passava dalla sua vecchia casa per incontrare Maria, per raccontarle i primi incontri, i primi discepoli, i primi rifiuti… Gesù, nel tempo della sua missione in Galilea, aveva preso casa a Cafarnao, ma quando tornava a Nazareth portava con sé qualcuno dei suoi. Così, a poco a poco, Maria diventava anche la loro madre“. 



Maria, come ogni madre, segue il figlio nelle sue prime uscite da casa, e desidera conoscere i suoi amici, le persone che ha vicino nelle sue giornate. Li accoglie con piacere in casa, approva e custodisce quelle amicizie appena cominciate. Oppure pagina 63, nel capitolo dell’ora della passione del figlio: “…aveva un rispetto supremo verso la persona di suo Figlio. Non solo non voleva frapporsi tra lui e la sua missione, fra lui e la sua obbedienza al Padre, ma neppure voleva accentuare la sua sofferenza con le preoccupazioni dipinte sul suo volto di madre. Voleva essere vicina e distante nello stesso tempo, vicina e non vista. Il Figlio sapeva che lei era lì“.



Ho pensato, leggendo questo passo, alle preoccupazioni che ha portato nel cuore mia mamma, dieci anni fa, durante il primo anno dopo la mia partenza per Roma, quando la storia delle Missionarie era ancora tutta nel cuore di Dio, e ai nostri occhi ancora nascosta.

Penso che quello che ci propone il vescovo Massimo sia un modo di leggere il vangelo che dobbiamo imparare. Possiamo anche noi immedesimarci nelle esperienze umane così vicine alle nostre che hanno vissuto duemila anni fa le persone che sono state coinvolte con la vita di Gesù di Nazareth. Questo penso sia il primo dono che questo libro può fare a noi suoi lettori.

Il secondo aspetto che mi ha colpito è che ogni avvenimento della sua storia era vissuto da Maria come una nuova parola nel suo dialogo personale con Dio. Egli le spiegava come la sua storia personale fosse legata a quella del suo popolo, alle parole dei profeti, e addirittura a tutta la sorte futura dell’umanità. A pagina 35: “Per Maria ogni evento è rivelazione, ogni parola uno squarcio che si apre sul mistero della missione del Figlio e perciò sulla sua sorte di Madre“.

A pagina 62: “Dopo la partenza di Gesù dalla casa dove aveva vissuto per trent’anni, Maria era rimasta a Nazareth. Ma non era lontana. Le voci su di lui le arrivavano, a confortarla e a preoccuparla, ma la sua consapevolezza non si fondava sulle voci, ma sulla Scrittura. Era lì, in quelle parole, in quei Salmi, nei Profeti che vedeva, come in filigrana, la missione e la sorte di Gesù“.

Il secondo dono, perciò, che questo libro può offrirci è un suggerimento su come guardare anche la nostra vita. Da Maria possiamo imparare questo sguardo: ciò che ci succede è più grande di ciò che vediamo, sentiamo, percepiamo con i nostri sensi o con i nostri sentimenti. Sotto ai fatti della nostra vita c’è un significato più profondo, che di certo vedremo in cielo ma che possiamo intravedere già qui. La Madonna ci insegna a guardare le nostre circostanze con il cuore in silenzio e con gli occhi della fede.

Infine, una nota personale. Leggere questo testo mi ha fatto fare memoria, ancora una volta, del fatto che Maria è mia madre e nostra madre. 

Sono arrivata a Roma dieci anni fa, il 15 settembre 2005. Nel vangelo della memoria di quel giorno, la Beata Vergine Addolorata, Gesù dice dalla croce: ecco tua madre. Queste parole, che ho sentito per me, sono rimaste indelebili in quel primo giorno e in tutti i giorni di questi anni. 

Le Missionarie di san Carlo sono state riconosciute dalla chiesa il giorno della vocazione di Maria, il giorno dell’Annunciazione, il 25 marzo 2007, e ognuna di noi ha pronunciato o pronuncerà il sì definito alla sua vocazione in questa bellissima solennità. 

Maria ci offre di essere nostra madre e questa è un’esperienza che io desidero vivere, desidero prendere sul serio. Se guardo alla mia vita, posso dire con verità: quello con lei è un rapporto possibile. 

Forse di un padre si possono contare le azioni, gli interventi nella vita di un figlio; spesso essi rimangono nella memoria come episodi o parole forti, che ci hanno fatto fare un passo, che ci hanno provocati a una decisione. Così, io porto nel cuore parecchi episodi vissuti nel dialogo con chi mi è stato padre; ricordo le parole, l’occasione, il luogo. Le attenzioni, gli interventi, i gesti di una madre, penso siano impossibili da contare. Essi sono continui, e spesso discretissimi, come un pasto preparato al momento giusto, un vestito pulito prima di un viaggio, un sorriso che riaccoglie al ritorno… 

È una compagnia, un affetto fatto da mille gesti ripetuti spesso, molto intimi e difficili da raccontare. Sono troppi per essere contati. Maria ci segue in questo stesso modo. A questa sollecitudine anche noi possiamo rispondere come dei figli a una madre: con un fiore nelle giornate delle sue feste, con una preghiera per una persona cara che abbiamo nel cuore, o per una decisione, con un voto in un momento difficile…

Concludo con una parola sull’ultima parte del testo, quella in cui l’autore commenta alcune preghiere alla Vergine, e in particolare il commento all’Ave Maria. Queste parole mi hanno rinnovato l’affetto per la preghiera del rosario, che trovo bellissima: una preghiera cristologica, in cui chiediamo alla Madonna di poter entrare nei misteri della vita di suo figlio; una preghiera di lode a lei, manifestata in modo splendido nelle litanie che la concludono; e poi il ripetersi delle Ave Maria: per me ha il significato di godere per un tratto del mio tempo quotidiano della compagnia della Madonna. Nel rosario le ripeto: sono tua figlia, prenditi cura del mio povero cuore e di tutto ciò che in esso abita, i miei desideri, le mie preoccupazioni, le mie decisioni. 

Mi ritrovo molto in queste parole del commento all’Ave Maria del vescovo Massimo: “Sono due i momenti veramente decisivi: l’ora presente e l’ora della morte. In questi momenti è essenziale non essere soli. Maria è al nostro fianco in tutti questi nunc, in tutte queste ore in cui la nostra vita si dipana e si decide. E sarà al nostro fianco nel momento decisivo di passare al Padre, quando si compie l’ultimo balzo verso l’eterno“.


Massimo Camisasca, “I misteri di Maria. Piccole meditazioni”, Edizioni San Paolo 2015