Dopo il successo di pubblico al Quirinale, la mostra degli arazzi cinquecenteschi dedicati al Giuseppe biblico fa tappa a Milano nella suggestiva sala delle Cariatidi di Palazzo Reale dove i tessuti monumentali, risuscitati grazie a 119mila ore di restauro, sono stati istallati per l’inaugurazione di Expo e dove saranno visibili fino al 23 agosto. La tappa successiva sarà Firenze, sede storica della maison Gucci, sponsor principale della mostra con la fondazione Bracco e l’Alto Patrocinio della Presidenza della Repubblica. 



I venti arazzi di pregiatissima fattura, che furono realizzati per incarico di Cosimo I de Medici su cartoni di Pontormo e Bronzino, hanno per tema il cibo attraverso i sogni. Il principe dei sogni è infatti il titolo della mostra che celebra la lungimiranza politica di Giuseppe che seppe sventare la carestia, una delle piaghe dell’Egitto d’allora, oggi riattualizzata dal binomio globale sovrabbondanza e fame. Il rimando alle sette vacche magre che divorano le sette vacche grasse, il sogno del Faraone che Giuseppe — psicoanalista (ante litteram) e politico di rango — seppe interpretare con squisita efficacia, è più che esplicito.



L’arte dell’arazzo, un tessuto artistico fatto a mano su telaio con una trama dominante inserita sull’ordito, non è più attuale dalla rivoluzione industriale, che con il telaio meccanico ha cacciato nel passato (remoto) le altre tecniche tessili. Quella che invece non sembra perdere d’attualità è la storia di Giuseppe l’ebreo, la storia biblica narrata nella Genesi che non cessa, per un verso o per l’altro, di avere estimatori in ogni tempo. Non solo Cosimo I, che nelle alterne vicende di Giuseppe ancora leggeva le altalenanti fortune del suo casato, ma anche noi moderni che — amanti o meno della Rivoluzione Francese — non sappiamo più che farcene dell’aristocrazia e dei blasoni, delle élite, dei privilegi e delle caste. La modernità è Pop, asseriva Andy Warhol, e non sbagliava. 



In epoca moderna il primo a voler progettare un romanzo dalla storia di Giuseppe, intuendone l’incredibile potenziale letterario, è stato Goethe, che non lo concretizzò, ma lasciò sufficienti spunti affinché Thomas Mann, suo illustre connazionale, riuscisse a trarne Giuseppe e i suoi fratelli, la potente saga ebraica, scritta in piena era nazista, articolata in quattro tomi. Senza dubbio una delle maggiori opere letterarie del XX secolo. Più vicino a noi ci ha pensato la DreamWorks (leggi Spielberg) a lanciare su scala mondiale il cartone, questa volta animato, Giuseppe Re dei sogni.

Thomas Mann fu amico e corrispondente di Freud, moderno principe dei sogni, come lo fu del presidente Roosevelt, moderno faraone (democratico) a capo di un impero che seppe districarsi dalla crisi del ’29, uno dei peggiori periodi di vacche magre mai visto in epoca moderna. Più di un critico ritiene che per il suo Giuseppe, Thomas Mann si ispirò proprio alle riforme illuminate di Roosevelt e più di un critico ha riconosciuto nella monumentale opera di Mann l’influsso di Freud.

Tra le immagini degli arazzi maggiormente utilizzate dai pubblicitari della mostra di Palazzo Reale, per catturare l’attenzione dei potenziali 20 milioni di visitatori di Expo, c’è quella della moglie di Potifar intenta nella seduzione di Giuseppe. Thomas Mann nella tetralogia ne evoca il fascino irresistibile: “era, per universale riconoscimento, il più bel corpo di donna che si potesse vedere”. Anche le altre scene narrate dagli arazzi non sono di minor effetto. La mostra è molto bella, oltre a essere gratuita. E se ora pensando di andarci appena possibile, vi assillasse il dubbio di potervi trovare in stanze affollate da psicoanalisti, non temete; spiace dirlo, ma non saranno in molti a trovare (al volo) il fil rouge che lega Giuseppe l’ebreo (egizio d’adozione) con Sigmund Freud, ambizioni di universalità in primis.

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