A cominciare dal 2004, anno delle olimpiadi ad Atene, il “buco nero” delle finanze elleniche trascina nella rovina tutto il Paese. Papandreou, nato nel 1952, figlio dell’ex primo ministro Andreas, studi internazionali nelle migliori scuole degli Stati Uniti, è l’erede di una delle due dinastie che si contendono il potere dalla caduta della dittatura dei colonnelli (1967-1974). L’altra è la famiglia dei Karamanlis, dove Costas, l’ex premier, è nipote di un ex primo ministro greco.
Papandreou ha condotto la campagna elettorale affermando che “i soldi ci sono”, basta mettere un po’ di ordine nella macchina amministrativa statale per far ripartire il Paese e scacciare i problemi finanziari. Non sarà proprio così, ma l’inizio di una terribile crisi, una sorta di Anabasi, come raccontata dallo storico greco Senofonte, una spedizione metaforica di un intero popolo in cerca di salvezza dalla tempesta economica.
Come ministro delle Finanze, Papandreou chiama Giorgos Papakonstantinou, un brillante economista che ha studiato alla London School of Economics e poi è passato all’Ocse a Parigi. Ed è proprio lui a dover svelare il vero stato dei conti pubblici greci dove il deficit non era al 3,5 per cento ma al 12,7 per cento e poi al 13,7 per cento. Il ministro non crede a suoi occhi: man mano che prosegue nell’analisi della situazione debitoria del paese, scopre trucchi contabili che hanno occultato debiti su debiti. Uno dei meccanismi finanziari, tutti perfettamente legali, è opera della banca d’affari Goldman Sachs che ha confezionato uno swap (uno strumento di copertura dei rischi) ad hoc per Atene nel 2001.
“Cosa c’è dietro il caso dei segretissimi derivati ‘per l’Europa’ — ha scritto l’ex ministro delle Finanze italiano, Giulio Tremonti — i contratti stipulati dai governi italiani negli anni 90, prima per ‘cucinare’ i nostri conti pubblici e poi per entrare nell’euro? Proprio come avrebbe fatto in seguito la Grecia. E’ questa una storia che sta affiorando, perché ne stanno emergendo i costi finora nascosti”.
Sempre il New York Times ha evidenziato come Goldman Sachs, attraverso una serie di meccanismi swap ha permesso alla Grecia nel 2001 di ipotecare alcuni settori della propria economia, oscurando legalmente così parte del debito alla commissione europea e a Eurostat. Queste operazioni sofisticate di ingegneria finanziaria infatti non appaiono come prestiti bancari ma come vendite con pagamenti differiti. In particolare la Grecia avrebbe finanziato parte del suo deficit sulla sanità pubblica impegnando i futuri introiti delle tasse aeroportuali, i pedaggi autostradali e gli incassi legati alle lotterie di stato.
Ma il New York Times dice anche che il premier greco Giorgos Papandreou a novembre 2009, tre mesi prima che il paese diventi l’epicentro della crisi dei debiti sovrani nell’eurozona, ha rifiutato di continuare con le pratiche contabili proposte dal presidente Gary D. Cohn di Goldman Sachs giunto ad Atene di persona per proporre un altro di questi meccanismi che abbelliscono il bilancio.
E’ l’inizio della fine, ma Papandreou spera ancora nell’aiuto del Fondo monetario guidato da Dominique Strauss-Kahn che incontrerà in una saletta riservata a gennaio 2010 a Davos al vertice annuale del Wef.
Purtroppo a causa di ritardi decisionali della cancelliera tedesca Angela Merkel (in vista di alcune consultazioni regionali dove il governo di Berlino non voleva apparire accondiscendente con il salvataggio greco) hanno fatto sì che il costo del salvataggio continuerà a crescere fino al 2 maggio 2010 quando verrà deciso il primo piano di crediti. I greci e l’Fmi avrebbero preferito un haircut del debito, un taglio sull’ammontare del debito, ma Francia e Germania si opposero fieramente mettendo le basi di una crisi destabilizzante per l’intera moneta unica.
Diversa la narrazione da parte greca. “Il crollo della Lehman Brothers e la rivalutazione dei rischi finanziari da parte dei mercati, ha comportato l’aumento degli interessi sui prestiti della Grecia, che costituiva l’anello debole dell’area euro. Così è scoppiata la crisi greca del deficit pubblico. La mancata adozione di misure urgenti e severe di stabilizzazione da parte di due governi greci consecutivi e l’esitazione della zona euro ad intervenire, hanno provocato la chiusura dei mercati finanziari per la Grecia, per poi arrivare al suo salvataggio, dopo numerosi tentennamenti, con l’intervento della “troika” (Fmi, Ue, Bce), un salvataggio soggetto ad una severa applicazione delle misure di risanamento dell’equilibrio finanziario e della competitività”, spiegano due testimoni di eccezione come Kostas Simitis, ex premier greco e leader del partito socialista Pasok e Yannis Strournaras, direttore della Fondazione per la ricerca economica e industriale di Atene, ex ministro delle Finanze e poi governatore della Banca centrale greca.
La questione greca si complica perché si intreccia con le fragilità della costruzione europea e con le contraddizioni della turbo finanza deregolamentata, soprattutto americana, descritte meravigliosamente da Greg Smith nella celeberrima lettera di dimissioni da Goldman Sachs pubblicata dal New York Times e dal New Yorker sul pentimento di Richard A. Posner, prima esponente di punta della Chicago School of Economics e teorico della deregulation finanziaria, poi passato al keynesianismo economico.
Ma torniamo alla Grecia che, a sua insaputa, sta per diventare un bersaglio per l’alta finanza internazionale proprio perché inserita nell’euro ma senza averne realmente i requisiti di stabilità. Il 26 febbraio 2010 il quotidiano finanziario americano Wall Street Journal informava i suoi numerosi lettori di una cena privata svoltasi nella sede di una banca d’affari a Manhattan nella quale alcuni hedge fund, cioè fondi di investimento ad alto rischio, tra cui Sac Capital Advisors LP e Soros Fund management Llc, si sono seduti a cena per discutere l’attacco all’euro attraverso la Grecia. L’idea era di speculare sul cambio visto che l’euro era a dicembre 2009 a 1,51 contro dollaro, e a quell’epoca a 1,355.
La proposta dei finanzieri era di indebolire l’euro e condurlo verso la parità, scommettendo anche venti volte il capitale posseduto attraverso meccanismi di leva finanziaria, su questo obiettivo puntando sulle debolezze della Grecia, l’anello debole dell’area euro. L’obiettivo, però, non era solo finanziario e speculativo, ma portava con sé evidenti riflessi politici, visto che prevedeva l’uscita della Grecia dall’eurozona con conseguenti effetti di contagio e possibile rottura della moneta unica europea. Alcuni partecipanti alla cena di New York, probabilmente, avevano anche l’interesse a far filtrare alla stampa notizie che avrebbero indebolito l’euro.
–
L’articolo è un brano tratto da “Grecia ferita. Cronaca di un waterboarding spietato” di Vittorio Da Rold, inviato del Sole 24 Ore. Il libro è edito da Asterios.