Il recente referendum popolare a favore dei matrimoni omosessuali in Irlanda è passato con una maggioranza del 62,1%, facendo diventare l’Irlanda il 22esimo stato al mondo a riconoscere le unioni fra persone dello stesso sesso. La cosa ha avuto una certa risonanza, pur non essendo l’Irlanda il primo Stato ad adottare questo tipo di legislazione. Le ragioni sono due, a mio parere;  una è la forma della consultazione popolare, che ha evidentemente sancito che quanto emerso è l’opinione dominante, e l’altra è, magari sottesa, che l’Irlanda sarebbe una nazione cattolica. Da cui lo” scandalo”; è certamente accaduto un fatto grave, ma non certo imprevedibile e non annunciato.  E non solo nei sondaggi pre-referendum. 



Nel lontano 1914 James Joyce pubblicava Dubliners, una collezione di 15 short stories i cui diversi protagonisti, dal bambino alla prese con un prete cattolico moribondo di The Sisters, la prima storia,   all’uomo maturo dell’ultima, The Dead, dovevano per l’autore aiutare a scrivere “un capitolo della vita morale del mio paese”, e proprio a Dublino in quanto “centro della paralisi”. Che fosse la disillusione di un amore acerbo di Araby, i tentativi della Mrs Mooney di far sposare la figlia in The Boarding House, l’alcolismo di un padre e marito violento in Counterparts o la disillusione di Gabriel Conroy in The Dead, una campana a morte suonò per tutti; nessun dublinese sfuggiva alla soffocante influenza di un mondo oppresso dalla Chiesa cattolica. 



Grace, la quattordicesima storia ed originariamente l’ultima, è particolarmente esplicita e quasi crudele a riguardo; Mr Kernan, il protagonista, si ubriaca, sviene, cade dalle scale, si ferisce alla bocca e si sveglia circondato da pii amici che sono ben intenzionati a riportarlo sulla retta via, decisamente smarrita. Kernan biascica, cadendo si è ferito alla bocca, e le sue farfuglianti risposte ben si armonizzano alle parole del predicatore al ritiro religioso a cui i suoi soccorritori lo invitano, forti della loro esperienza che The Irish priesthood is honoured all the world over (“Il clero cattolico è onorato in tutto il  mondo”, ironica profezia della pedofilia?). Ma sia i soccorritori di Mr Kernan che Father Purdon al ritiro si rivelano progressivamente e clamorosamente ignoranti in merito alla fede cattolica che professano. 



Che tutti gli attanti di questo teatrino siano clamorosamente ignoranti della fede che professano, che raccontino addirittura inesattezze e nefandezze storiche, è tuttavia irrilevante. Non importa, ciò che conta è che si faccia di Kernan a good holy pious and God-fearing Roman Catholic (“un buon Cattolico romano pio e santo e timorato di Dio”), e presto. Insomma, l’importante è che il discorso religioso fili e che i dubbi e le domande di Kernan, onestamente non particolarmente brillanti e di certo farfuglianti, siano messe velocemente a tacere e lo si “salvi” di peso, esattamente come quando, all’inizio della storia, Kernan viene tirato su da terra dopo la caduta rovinosa dalla scala.

La tragedia di un’Irlanda cattolica solo nelle forme era già tutta qui, nella genialità irriverente e profetica di un figlio di Irlanda che, voce di uno che grida nel deserto, dichiarava già ad inizio Novecento che il re non è forse ancora nudo, ma certo si copre di stracci miseri e rubati. La religione ridotta a morale ed elenco di dogmi è un misero abito che subisce velocissimo l’usura del tempo, al contrario della religione come amore a Cristo che sorregge anche oggi i martiri del nostro tempo.

La speranza dell’Irlanda oggi, e non solo dell’Irlanda, è solo nei martini di Iraq, Siria e Terra Santa, “la periferia dove Gesù aveva iniziato la sua predicazione; e di là ripartirà il Vangelo della Resurrezione” (Papa Francesco, Regina Coeli, 6 aprile 2015).

L’alternativa all’annuncio più volte ripetuto di Bergoglio? Che la fede sia solo motivo di scandalo o dibattito, e non di vita.