Ancora sulla Magna Carta e il suo contesto storico. Il re che fu costretto ad approvarla, Giovanni “Senza terra”, fu l’unico dei sovrani inglesi a portare quel nome: vale a dire, il notorio “principe Giovanni” delle leggende di Robin Hood. Personaggio losco fin dalla gioventù, bugiardo, avido, codardo: è questa l’immagine che di lui ci tramanda la tradizione popolare.
La storia vera ha, come sempre, toni ancor più foschi rispetto alla leggenda: è vero, infatti, che Riccardo Cuor di Leone, suo fratello, tornò finalmente dalla terza crociata; ma il problema del malgoverno di Giovanni fu solo rimandato, giacché il re Riccardo (la cui effettiva bontà verso i sudditi appartiene purtroppo più alla leggenda che alla storia) se ne partì di nuovo subito dopo e morì in Francia senza lasciare figli legittimi.
Giovanni scatenò allora una guerra per impadronirsi del trono a scapito del giovane nipote Arthur, che finì imprigionato e ucciso; fu poi la volta del conflitto con Innocenzo III, quando il re inglese rifiutò di riconoscere il nuovo arcivescovo di Canterbury, l’indomito e incorruttibile Stephen Langton (autore, tra l’altro, dell’inno Veni Sancte Spiritus). Il Papa lanciò interdetto e scomunica e i baroni ne approfittarono per ribellarsi e costringerlo ad accettare la Magna Carta. Visto che si metteva male, Giovanni chiese perdono, cedette il Paese al Papa come feudo e, per avere ulteriore protezione legale, fece voto di farsi crociato. Il Papa dichiarò allora l’invalidità di quel documento “anarchico” e i baroni ripresero la guerra civile, che era ancora in corso quando, pochi mesi dopo, Giovanni morì lasciando il trono al figlio bambino.
A quanto pare, dunque, ci troviamo di fronte a un tradizionale “malvagio della storia”, ben difficile da riabilitare. L’immagine tramandata dalla tradizione non è dissimile da quella di Riccardo III, in favore del quale, però, in tempi recenti, qualche lancia è pur stata spezzata. Eppure ci fu un momento in cui storici e letterati cercarono non solo di ritrarre Giovanni in toni meno cupi, ma persino di farne l’eroe che non era mai stato; anch’egli ebbe, dunque, il suo momento di gloria, prima di ripiombare nell’ignominia più assoluta. Parliamo della letteratura tudoriana di regime, che ne fece il precursore di Enrico VIII nell’opposizione al Papa, ignorando completamente la sua successiva sottomissione religiosa e, soprattutto, politica. Anche la Magna Carta fu come cancellata dagli annali per tutta la restante parte del Cinquecento.
Quando Shakespeare scrisse il suo King John, l’atmosfera che si respirava era proprio questa; tanto che era appena uscito un dramma anonimo che esaltava quel re duecentesco come eroe e protomartire della “Riforma”: ed era forse possibile, allora, darne un ritratto diverso e riuscire a passare il vaglio della censura elisabettiana? Il grande drammaturgo, pare, ci provò giocando d’astuzia, come un Robin Hood post litteram.
Confermò dunque l’immagine di Giovanni come antesignano dell’anglicanesimo e gli mise in bocca un discorso sulla supremazia regia assolutamente anacronistico; trasformò però l’eroe protestante in un essere viscido e infido, molto più di quanto egli non risulti dalle fonti storiche. Il suo Giovanni è ancora più spregevole del suo Riccardo III, il quale, almeno è affascinante nella sua malvagità e astuzia. Il Giovanni che si muove sul palco è raccapricciante, ributtante, subumano, e le immagini che a lui si riferiscono rimandano a sangue, violenza, smembramenti, porzioni di corpo umano. Altro che eroe. Quanto al suo diritto al trono, Shakespeare lo rende ancora più discutibile di quanto non fosse storicamente (né egli fu il solo a farlo), oltretutto esaltando il giovane Arthur come bambino virtuoso e innocente. Perché l’opposizione al regime identificava notoriamente la vicenda di Giovanni e Arthur con quella, molto più recente, di Elisabetta e di Mary Stuart, decapitata pochi anni prima. Perché, come al tempo si era fermamente convinti, la storia si ripete.
Non stupisce, dunque, che l’opera non sia mai stata data alle stampe finché Shakespeare fu in vita, né che non ci siano giunti riferimenti di alcun tipo alla sua messa in scena: probabilmente non piacque, lassù in alto, ma almeno il drammaturgo non ne subì conseguenze pesanti e poté proseguire indisturbato la sua fulgida carriera (anche) di picconatore del regime. A conti fatti, per pensarla — per una volta — come Walt Disney, re Giovanni tornò a essere un leone spelacchiato e quella volpe del suo nemico tornò a nascondersi non nella foresta di Sherwood bensì nelle malfamate periferie londinesi, armato, invece che di frecce, di una penna d’oca.