LIPSIA — Scriviamo l’anno 2014, ma quello in corso, il 2015 non avrà certo portato alcuna novità. Und ich weiß, das geht nie vorbei (“Lo so, sì lo so, che ciò non passerà mai”). La Ddr esiste ancora, in tutte le pareti degli uffici pubblici si vede la foto del nuovo segretario generale del partito socialista (Sed), Gregor Gysi, successore di Egon Krenz, che a sua volta era successore di Erich Honecker. Gysi è un avvocato rinomato, retore brillante. Non uno che ama la Stasi, ma che realisticamente sa che c’è e se ne può servire. I problemi economici che avevano portato lo stato comunista tedesco quasi al collasso, così da temere una riunificazione con la stato tedesco capitalista, sono stati risolti in modo geniale. Dapprima con una trovata finanziaria nell’ambito della politica delle tasse, che la la Brd (Bundesrepublik Deutschland, la denominazione usata in Germania Est per indicare la Germania Ovest durante la Guerra fredda, ndr) accetta per una sana politica realistica. Le persone che vogliono andare nell’ovest capitalistico per lavorare possono andarci, ma devono pagare le tasse nel luogo di residenza, che rimane per l’appunto la Ddr. Poi l’efficienza tedesca, sposando due idee, quella socialista e quella ecologica, inventa la macchina elettrica, che invece di benzina ha bisogno dell’energia prodotta dai mulini a vento, una presenza fallica in tutto il territorio della Ddr, ma che permette di risolvere il problema ben noto che l’energia elettrica non si può conservare, dovendola invece usare — magari pian piano — quando essa viene prodotta. Così, mulini a vento, invece che benzinai. La Brd, che rimane più legata al mondo convenzionale per far muovere le macchine, è sempre più dipendente dalle crisi regionali in Medio oriente, mentre la Ddr, autonoma nel suo agire economico da crisi internazionali,  con la sua trovata energetica, quasi può pensare ad un sorpasso economico della Ddr. La formula cinese: trasformazione del socialismo in capitalismo, pur rimanendo politicamente comunisti, sembra vincere anche in Europa. Gysi può addirittura pensare a “elezioni libere”, ma poi come segretario generale del Zentralkomitee e responsabile primo dello stato democratico tedesco ci ripensa, ed elimina la trasmissione in cui, prima della sua elezione, aveva fatto un accenno a questa possibilità. Non solo facendo sparire la puntata, ma elencando la trasmissione tout court. “Lo so, si lo so, che ciò non passerà mai”. Il nome nuovo del sempre uguale è Elektrokratie.



Thomas Brussig, nato a Berlino nel 1964, le cui opere sono tradotte in circa 30 lingue — la più nota al pubblico italiano è probabilmente Am kurzen Ende der Sonnenallee, In fondo al viale del sole — pubblica un romanzo appena uscito per i tipi di una rinomata casa editrice di Francoforte sul Meno, S. Fischer, quindi nell’ovest della Repubblica Federale Tedesca, dal titolo Das gibts in keinem Russenfilm (Non esiste in nessun film russo), scritto con l’espediente letterario del “che cosa sarebbe stato se”, ovvero come sarebbe andata avanti la storia tedesca se il Muro non fosse caduto, e se Angela Merkel, che proviene dalla Ddr, non fosse diventata cancelliere tedesco.



A parte le considerazioni letterarie, che lascio agli addetti ai lavori, la domanda che mi sono posto è la seguente: come mai una persona che non ha per nulla simpatia per i metodi polizieschi e carcerari della Ddr le ridona una vita letteraria, lasciandola “esistere” fino ad oggi? Come mai ripete insistentemente il verso che ho già citato due volte: “Lo so, sì lo so, che ciò non passerà mai”? 

Credo di conoscere la risposta per una lunga esperienza di vita e di dialogo nei nuovi Länder. Se il motivo ultimo del desiderio della riunificazione tedesca è la libertà, non è per nulla chiaro che il nostro mondo occidentale sia davvero più libero di quello regolato dalla Stasi. Certo, gli eccessi terribili, grazie a Dio, non ci sono (basta fare un giro nella prigione della Stasi che si trova qui a Lipsia, die Runde Ecke), ma credo che non si possa negare che la riflessione dell’autore — l’io narrante e l’autore nel romanzo sono identici , che nel romanzo ritorna all’Est dopo la presentazione di un suo libro all’Ovest — ponga una questione che è innegabilmente acuta. 



Ritornando per l’appunto con il treno a Berlino dopo essere sceso per una coincidenza ad Hannover,  si accorge, per il familiare movimento di sussulto delle ruote del treno nei binari della Ddr, di essere tornato in patria riflettendo: “Ritornavo dal paese che veniva associato alla libertà — anche da me. Ma non mi sentivo inebriato. Che una vita in libertà debba essere conquistata e difesa sempre di nuovo da ogni singolo, è stato sempre il mio sospetto (…). Tornando dal mio primo viaggio nell’ovest avevo la visione orribile di un mondo libero, nel quale la maggioranza degli uomini non è libera” (252-253). Possiamo negare che sia così? Possiamo negare che sia necessaria un’educazione del singolo alla libertà? E forse oggi più che mai? 

Questo è il punto.  Questo è ciò che mi permette di comprendere l'”esistenza storica” (Ernst Nolte) mia e dei miei compagni di viaggio in questi tredici anni tedesco-orientali. L’autore non aiuta una riflessione trascendente, le cose che dice su Dio sono banali — come la considerazione che non c’è bisogno di sapere se l’universo abbia senso o se Dio esista nel momento in cui si prova così tanta gioia nel guardare saltellare il suo secondo grande amore nel romanzo, Sabine, campionessa di salto con la corda, vera ed autentica disciplina dello sport socialista secondo l’autore. Ma a livello di “esistenza storica” coglie in profondità il motivo ultimo di quel fenomeno di “Ostalgie” di cui ho già parlato su queste pagine, e questo non solo in persone che rimpiangono la Ddr, ma anche in quelle che non la vogliono più e non l’hanno voluta allora. Thomas Brussig è un attento osservatore dell’esistenza storica, non ideologico, cosa che per esempio gli permette di comprendere la forza di un parroco polacco come Popieluzko: “Alcuni del servizio segreto polacco hanno deciso di proprio pugno di fare la guerra ad un parrocco dell’opposizione e ciò ha contribuito a chiudere la bara con dentro la dittatura”. 

Forse Thomas Brussig è ancor meno ideologico dell’appena scomparso  Günter Grass, che nel romanzo appare come ambasciatore dei possibili giochi olimpici a Berlino, di cui ne impedirà però la realizzazione con una frase non convenzionale e non diplomatica detta nella seduta in cui sarebbe stata presa la decisione. Grass è forse con ragione presentato come non convenzionale, ma una reale e profonda critica dell’esistenza storica non ideologica forse è più presente nell’autore di Berlino che nel premio Nobel. 

Brussig ha poi ancora un grande pregio, forse unico nella letteratura tedesca dell’est: è un maestro dell’humour, del sorriso e dell’ironia. Anche su di sé, quando si lascia dire da Sabine che è un fortunello, “un pochino troppo conosciuto e di successo per il tuo talento”; o quando presenta se stesso come uno che viene accusato ingiustamente di essere un pedofilo, mettendo così se stesso non dalla parte degli apostoli della morale antipedofilia, ma nelle veci di chi si trova, grazie a Dio ingiustamente, in questo ruolo. In questo cocktail di humour, sorriso ed ironia Brussig rivela certamente, anche se in modo implicito, un senso raffinato dell’essere come dono, e quindi come gioia e come sofferenza; lasciando intatta la possibilità di un accesso alla dimensione “metafisica” prima accennata. Ma l’onere è del lettore.