Nel marzo del 1912 Anna Achmatova, allora ventitreenne, pubblicò la sua prima raccolta di versi, Sera. Ne scrissero e parlarono molto alcuni poeti, Valerij Brjusov e Sergej Gorodeckij, e i lettori la accolsero con entusiasmo: infatti la prima tiratura (trecento copie) andò subito esaurita, e, dopo poco tempo anche il secondo libro della poetessa, Rosario (Cetki), pubblicato in una prima tiratura notevole per quei tempi (mille copie), che la rese celebre in tutta la Russia, ebbe molte riedizioni.
Giovane, bella, sposata con un marito adorante, a sua volta poeta, Nikolaj Gumilëv (nessun libro del quale aveva però mai suscitato tanto scalpore), la Achmatova era destinata a diventare, ancora vivente, un monumento delle lettere russe: ben presto, iniziò a pullulare un’orda di giovani poetesse entusiaste, o meglio, di giovani donne infatuate della poesia, che imitavano i suoi ritmi, le sue parole, le sue rime. I loro versi sembravano una parodia dello stile di Anna, e questo, in un certo senso, era al contempo la riprova del successo e lo scotto da pagare alla gloria: persino Nabokov in Pnin proporrà una parodia dei versi di un’epigona emigrata all’estero.
Per le donne russe della sua generazione la Achmatova era un mito, non solo poetico: sostenevano che aveva liberato le donne, insegnando loro ad esprimere i propri sentimenti. Insofferente a questa pletora di imitatrici, per lo più scadenti, la poetessa scrisse addirittura un Epigramma la cui conclusione così suonava: “Io ho insegnato alle donne a parlare…/ mio Dio, ma come obbligarle a tacere?”.
Ma nessuno poteva sapere, all’epoca, che nell’anno che aveva preceduto la pubblicazione della sua prima raccolta poetica, Anna aveva vissuto una breve e bruciante passione parigina con un giovane pittore livornese trapiantato in Francia, Amedeo Modigliani. La loro storia d’amore, restata segreta per decenni, viene ricostruita da Boris Nossik in Anna e Amedeo, saggio datato 1997 e la cui ultima edizione russa risale al 2005, e che, finalmente, ora è possibile leggere anche in italiano. Fatto salvo il breve cuore del volume, dedicato ai mesi del loro amore nel 1911, i capitoli ripercorrono in parallelo le esistenze di Anna e Amedeo, condotte separatamente dopo la parentesi passionale, lei divenuta un monumento vivente della poesia russa, lui morto giovane, nel pieno della creatività, e diventato preso una leggenda.
Nella sua piena maturità artistica, Anna Achmatova ripensò con una certa irritazione frammista ad orgoglio agli anni della sua giovinezza, anagrafica e poetica, e alla magica popolarità che aveva subito raggiunto. La grande poetessa ricordava il suo debutto letterario quasi minimizzando: “Quei poveri versi di una superficialissima ragazzina”, scriveva, a distanza di quasi mezzo secolo, “chissà perché si ristampano per la tredicesima volta”. Eppure, la memoria, poetica e non solo, di quell’incontro accompagnò Anna per tutta la vita, non solo nelle poesie scritte a ridosso dei mesi parigini. Ancora a fine 1940 la poetessa, ormai cinquantenne, iniziò, infatti, a lavorare al grande e complesso Poema senza eroe, che scrisse fino alla morte; e in una delle varianti si parlava di Amedeo, per lei evidentemente una presenza indimenticabile, indelebile, nonostante, o forse proprio a causa dei molti amori, tumultuosi, mai tranquilli, men che meno felici (come amava dire, Anna era “fedelissima amica di mariti altrui e di molti vedova inconsolabile”).
Parigi avvolta in una nebbia bluastra,
e forse, non visto, Modigliani
nuovamente vagava alle mie spalle.
Ha la triste qualità
di turbare anche i miei sogni
e di molte sciagure essere causa.
Ma a me, alla sua Egiziana…
…
Cosa suona il vecchio al suo organetto?
L’accompagna il rombo di Parigi,
come il rombo di un mare sotterraneo, –
anche lui dolore a sufficienza,
e vergogna e male ha gustato.
L'”Egiziana” era un soprannome dovuto all’acconciatura propria delle regine e delle danzatrici egizie con cui Modigliani ritraeva Anna; in quel periodo il pittore livornese era affascinato da tutto quel che aveva a che vedere con le forme e i colori dell’Africa, e proprio una collana africana Anna portava quando Modigliani la amò e la ritrasse. Così, nel 1964, la Achmatova si recò in Inghilterra, dove a Oxford fu insignita di una laurea honoris causa, ma, come ricorda Nossik, se solo fosse giunta in quel Paese qualche mese prima, alla grande mostra londinese di Modigliani avrebbe potuto ammirare il disegno Nudo con gatto, esposto per la prima volta, e riconoscervi se stessa, bellissima, giovanissima, snella e perfetta, con quella stessa collana africana con cui (come ricorda la poetessa nel breve saggio da lei dedicato al pittore livornese) lui amava ritrarla, sostenendo che “i gioielli devono essere selvaggi”.
Naturalmente, nel saggio su Modigliani, destinato alla stampa, Anna non ammise mai che, oltre alla collana africana, durante quelle sedute non aveva niente addosso. E, tuttavia, da Parigi la Achmatova ritornò con sedici disegni di Amedeo: e se la donna cercò di nascondere a tutti i costi al marito quanto era accaduto in Francia (distruggendo tutte le tracce e tutti i regali), tuttavia conservò una cuffietta di fine merletto e i disegni, i nudi per cui aveva posato nello studio di Modigliani. Tali disegni sono come indizi compromettenti che, in una lirica, vengono trasfigurati in garofani, colorati e vistosi, e pertanto assai difficili da nascondere:
E senza alzare gli occhi
M’ha dato tre garofani.
Oh, cari indizi,
dove potò celarvi?
Eppure, quei disegni non furono mai ritrovati. La poetessa sostenne sempre che andarono perduti; in realtà, come ricostruisce Nossik, non era proprio possibile mostrarli pubblicamente, men che meno appenderli, come Amedeo le aveva chiesto, incorniciati nella sua camera sopra il suo letto: di quei disegni, forse, se ne salvò soltanto uno, il più decente. Anch’esso venne nascosto da qualche parte, e ricomparve probabilmente molti anni dopo, quando, come ricostruisce Nossik (p. 157), Anna aveva dovuto una volta recarsi, con uno dei suoi giovani accompagnatori (Anatolij Najman), da un notaio per fare testamento; poi, uscita dallo studio, per strada, si era rivolta con angoscia al suo accompagnatore: “Di quale eredità si può parlare? Mettersi sotto braccio il disegno di Modì e andarsene”.
Di una vita lunga, piena di trionfi poetici, di matrimoni, di avventure intellettuali e non solo, era rimasto solo il disegno dello scapigliato toscano, pegno di un amore di gioventù. La poetessa, memore del passato parigino, si impegnò anche nella scrittura — benché la prosa le fosse poco congeniale — di un saggio su Amedeo e sulla sua concezione dell’arte e della vita.
Il Modigliani ricordato da Anna è quello che precede l’esplosione di quella creatività che diede origine alla produzione più celebre del livornese, quella che gli guadagnerà fama imperitura. È infatti solo nel 1914 Max Jacob presentò Modigliani a Paul Guillaume, mercante di quadri e critico d’arte ancora giovanissimo, ma già noto, considerato lo scopritore di Modigliani, Soutine e Derain. A questo periodo risale anche l’incontro con una nuova donna, di nome Beatrice, bella, ricca ed eccentrica, e contro di lei, molto molto tempo dopo, Anna (chi l’ha detto che gli anni stemperano le passioni e donano pacatezza?) si scaglierà ferocemente, ancora gelosa dopo quarant’anni (e incurante soprattutto del fatto che Beatrice fosse morta).
In generale, però, il saggio di Anna Achmatova è lontano dal tono scabro, drammatico, e nulla concede all’idealizzazione e alla dolcezza del sentimento proprio del volume biografico scritto dalla figlia. Intitolato eloquentemente Modigliani senza leggenda (Vallecchi, Firenze 1977), l’ormai rarissimo volume ripercorre dettagliatamente, e senza nessuna concessione a una visione idillica e autoconsolatoria della vita, la china discesa da Amedeo, e la sua vita funestata dalla dipendenza non solo dall’alcool, ma anche dall’hashish. Anna Achmatova, invece, di Modigliani ricorda sì la povertà, ma anche l’amore per la poesia, i pomeriggi passati recitando e leggendo versi; in generale, come afferma Nossik, Anna ricordava assai poco di quei lontani avvenimenti, e, per giunta, quel poco nemmeno si prestava a essere reso pubblico.
Un giorno, al poeta Michail Dudin, durante un lungo viaggio in treno Anna disse: “Noi poeti siamo persone nude, di noi si vede tutto, perciò dobbiamo preoccuparci di avere un aspetto decente”. E forse, riflette l’autore, fu proprio tale scrupolo per la “decenza” a rovinare il saggio su Modigliani, che parla per allusioni, senza poter dire nulla di quanto fu sostanziale per loro e fra loro, ma solo accennando al loro innamoramento. Modigliani conoscerà soltanto nel 1916 Leopold Zborowski, poeta, esteta e collezionista che proveniva da una ricca famiglia polacca, una delle figure determinanti per la sua vita e per la sua carriera d’artista. E sarà proprio durante quel periodo di lavoro matto e forsennato che Modigliani ritrarrà Diego Rivera, Jacques Cocteau, Moise Kisling, Jacques Lipchitz e sua moglie Berthe; e realizzerà numerosissimi ritratti, di venditrici, cameriere, bambini, musicisti, pittori, innumerevoli ritratti di donne (Antonia, Madame Pompadour, La fantesca, Zingaracon bambino).
E probabile che proprio in questa fase nasca il vero ritrattista Modigliani — in ogni caso quello che oggi è meglio conosciuto. In questa fase cresce anche la sua notorietà, benché l’indipendenza economica sia ancora lontana. Ma l’incontro con Anna non sarà senza frutti nemmeno per Amedeo: è forse grazie ai mesi passati con la poetessa russa, infatti, che l’artista inizia a maturare un suo stile autonomo e preciso, e una propria concezione artistica peculiare.
Lo studioso e critico d’arte Nikolaj Chardžiev, infatti, venne un giorno interpellato dalla poetessa perché esprimesse un parere sul suo amato ritratto realizzato da Modigliani (il famoso unico disegno superstite), e affermò che esso era simile, per la sua composizione, al disegno preparatorio di una scultura, e che tale immagine ricordava “la figura allegorica della Notte sul coperchio del sarcofago di Giuliano de’ Medici, forse la più significativa e misteriosa fra le figure femminili di Michelangelo”. Insomma, in quel disegno era quasi possibile individuare in nuce il futuro sviluppo dello stile di un grande artista, e i suoi futuri capolavori: quella stagione parigina dell’anno 1911 aveva così inciso, indelebilmente, su due grandi destinati a essere ricordati come due capisaldi della cultura del Novecento.
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Boris Nossik, “Anna e Amedeo. Storia dell’amore segreto di Anna Achmatova e Amedeo Modigliani”, Trad. di E. Guercetti, Odoya 2015.