Pianeta tossico, di Gianluca Ansalone, non offre soltanto una dettagliata analisi delle “armi di distruzione di massa” — come recita parte del sottotitolo del libro — e delle possibili conseguenze del loro utilizzo ma propone, in termini molto più ampi, una lettura approfondita e chiara del sistema internazionale attuale, con le sue fratture, le sue minacce, le sue instabilità e con nuovi attori che si muovono in spazi sempre meno definiti.



Come sostiene fin dall’inizio l’autore, “la fine del bipolarismo ha portato alla ribalta due fenomeni: da un lato la diffusione del potere; dall’altro la proliferazione di minacce non statali”. Così, nel testo, vengono descritte in poche ma efficaci parole le rapide trasformazioni del mondo lasciate in eredità dalla guerra fredda. Un mondo, quello odierno, diviso tra l’erosione dei rassicuranti confini post Wesphaliani — che, in qualche modo, avevano fornito la cifra delle relazioni internazionali fino al crollo delle certezze bipolari — e la polverizzazione delle minacce alla stabilità del sistema in una miriade di attori non più declinabili soltanto in logiche statali ma riferibili a una galassia di soggetti e di fenomeni capaci di travalicarne le oramai porose “frontiere”. 



In questo nuovo contesto, in cui gli Stati si trovano a fronteggiare minacce asimmetriche e di portata globale, sempre più difficili da prevenire e contrastare (il terrorismo fondamentalista, le pandemie, le migrazioni di massa…), l’autore colloca la sua lungimirante e quanto mai attuale analisi dello scenario internazionale definito, a giusta ragione, del “multipolarismo fragile”.

E’ un multipolarismo, quello descritto da Gianluca Ansalone, che non rinnega il ruolo dello Stato nazionale e, anzi, come ben rimarcato nel testo, “immaginare che lo Stato perderà completamente un ruolo è illusorio, sia che si propenda per una visione idealista kantiana di ‘pace perpetua’, sia che si preferisca un’interpretazione realista delle relazioni internazionali”. Non si tratta, dunque, del fallimento della sovranità statale ma di una nuova logica di diffusione del potere in cui lo Stato dovrà scegliere le modalità con cui rivedere la propria governance all’interno di un complesso e variegato prisma di attori che si muovono in uno scenario sempre più fluido.



Il testo, come è facile intuire, supera le tesi liberaldemocratiche della fine della storia di Fukuyama ma anche quelle del villaggio globale di McLuhan. L’11 settembre ci ha ricordato come le dinamiche storiche e geografiche “tradizionali” non siano affatto morte. Gli attentati nel cuore dell’occidente hanno drammaticamente dimostrato come la storia, con i suoi sconvolgimenti e con i suoi “traumi”, non è finita, ma sembra oggi proseguire su traiettorie fino a qualche anno fa inimmaginabili. Così anche il villaggio globale non può esimersi dal ritrovare una collocazione localistica perché, oggi, sono le frammentazioni localistiche, confessionali e tribali a ridisegnare la mappa del potere e dei conflitti. 

Questo accade, come ben rimarca l’autore, con particolare intensità proprio in quello scacchiere geopolitico in cui, in ritardo con la storia e in “direzione ostinata e contraria”, la sovranità statale sembra emergere solo oggi. Si tratta del Medio Oriente, non a caso luogo in cui gli Stati sono nati di recente, a cavallo tra la prima e la seconda guerra mondiale, dopo anni di dominio coloniale. Quegli Stati, con frontiere “geometriche” tracciate a tavolino dalla penna delle diplomazie occidentali, ci rammentano, inesorabilmente, che non è possibile racchiudere dentro confini artificiali sensibilità politiche, civili, etniche e religiose differenti. In questo “equilibrio precario” è quanto mai condivisibile la posizione di Gianluca Ansalone quando sostiene che più che di primavere arabe bisognerebbe parlare di un vero e proprio risveglio arabo. Ecco allora che le recenti rivolte, che hanno coinvolto ad effetto domino gran parte del Mediterraneo,  possono essere lette come un tentativo di riscatto, di nahda se vogliamo, dei popoli contro i propri regimi, contro i propri despoti — riconosciuti come la fonte primaria di quell'”infelicità araba” amaramente e magistralmente descritta da Samir Kassir — ma anche contro quei confini ricavati artificialmente da territori coloniali di potenze europee che hanno lasciato in eredità governi autoritari, divisioni etniche, tribali, regionali e religiose, congelate durante la guerra fredda poiché congeniali per il confronto bipolare. 

Oggi queste “sensibilità”, rimaste a lungo sopite, sono tornate con prepotenza e spesso con violenza, dando vita a un inesorabile processo di ristrutturazione della mappa del Medio Oriente che è sotto gli occhi di tutti e gli esempi che vengono riportati nel libro a sostegno di tale tesi sono quanto mai emblematici ed attuali. La Siria, Paese in cui la minoranza alawita ha regnato a lungo reprimendo la maggioranza sunnita, è impantanata in una guerra civile; La Libia, dopo 42 anni di potere indiscusso del suo “leader maximo”, è divisa oggi in una miriade di tribù, due governi e il rischio di una secessione tra le due principali regioni, Cirenaica e Tripolitania; l’Iraq, dove sunniti, sciiti e curdi hanno convissuto sotto il giogo della dittatura di Saddam Hussein, è un Paese smembrato, teatro di scontri tra i boia del Califfato più altre milizie sunnite, e gruppi sciiti, in cui la debolezza delle strutture statali centrali ha contribuito a rendere la situazione totalmente fuori controllo. Infine, aggiunge chi scrive, l’esempio più “volatile” di nation building, con le sue drammatiche conseguenze, rimane il conflitto israelo-palestinese, con le sue irrisolte rivendicazioni territoriali e nazionali, con illusioni di pace e realtà di guerre e l’amara eredità di una lunga serie di conflitti e di tentativi fallimentari di dialogo. 

Dinanzi a uno scenario così delineato verrebbe da chiedersi: chi si salverà da questi rivolgimenti? A questa fondamentale domanda Gianluca Ansalone offre una chiara ed esaustiva risposta: “si salveranno soltanto quei Paesi che non sono il frutto di una costruzione artificiosa o che fanno derivare la legittimità politica da motivazioni culturali e religiose”. 

Affermazione semplice all’apparenza ma che ha invece il coraggio di aprire a scenari di grande complessità. I Paesi in questione, infatti, sono l’Iran, baluardo sciita, con una civiltà millenaria e l’Arabia Saudita, indiscusso leader della galassia sunnita: due paesi “pivotali” dell’area, voci delle due diverse anime dell’islam e due attori capaci di captare le dinamiche del confronto epocale che da secoli divide il popolo arabo. Sarà questo “lo scontro finale in Medio Oriente”, uno scontro che è non solo destinato a disegnare la traiettoria delle dinamiche nell’area ma, in più ampia prospettiva, nell’intero sistema internazionale. 

Non è un caso se l’Iran, che oramai da molti anni sta perseguendo l’opzione nucleare, ha recentemente deciso, grazie anche alla nuova presidenza di Rohani, di addivenire a più miti consigli e non è neppure un caso se gli Stati Uniti, che hanno fatto della lotta all’asse del male (di cui l’Iran è sempre stato considerato l’attore protagonista) il baluardo della propria politica estera, si trovano oggi a voler intavolare un dialogo con Teheran, sempre più utile per contenere i vari gruppi dell’islamismo radicale sunnita in Siria, Libano e soprattutto in Iraq. Potrebbe essere l’inizio di un rovesciamento di prospettiva in cui l’Iran potrebbe tornare presto nel novero degli attori internazionali legittimi e riconosciuti, mentre la potenza saudita, storicamente più vicina agli Usa, maggiormente svincolata da questa posizione e propensa a nuove alleanze all’interno degli equilibri regionali che via via si struttureranno all’interno di questo processo di scomposizione e ricomposizione delle frontiere del Medio Oriente. 

E’ questa una delle opzioni prese in considerazione dall’autore, che trova nella trattazione importanti approfondimenti e spunti di riflessione, sia in ottica di possibili rivolgimenti futuri sia con uno sguardo al passato, con la riproposizione del saggio del 2005 dal titolo Oltre l’Iraq. Sono passati 10 anni da allora e il sistema è profondamente mutato anche in conseguenza del moltiplicarsi delle minacce asimmetriche, eppure, come ben si evince dall’analisi, oggi come allora lo scenario iracheno continua ad essere il teatro in cui si gioca il futuro degli equilibri di tutto il Medio Oriente e, in più ampia prospettiva, di tutto il pianeta. E’ attorno all’Iraq, infatti, che si snodano i principali interessi dei player regionali, dalla Turchia alla potenza nucleare iraniana. Qui — come riportato chiaramente nel testo — si trovano i principali “hub di addestramento ed esportazione dei combattenti in altri teatri di guerra” e sempre qui le infiltrazioni terroristiche hanno edificato le proprie roccaforti per contendersi il controllo del territorio. In quest’ottica leggere con la consapevolezza di oggi il testo del 2005, lungi dall’essere un mero esercizio accademico, diventa una rara occasione non solo per comprendere meglio il presente ma — riprendendo di nuovo le parole dell’autore — “per scongiurare un pericolo futuro”.  

Pianeta tossico è dunque un libro capace di far luce in maniera esaustiva sugli attuali sconvolgimenti internazionali ricordandoci che, anche se per nostra natura siamo portati a non tenere in considerazione le minacce che provengono da oltre confine, viviamo in un sistema che è oggi più che mai interconnesso e questo “sistema” non è affatto scevro da incognite e rischi di cui è necessario essere consapevoli. La sicurezza non è uno “stato di fatto” ma è, e sarà sempre più, la risultanza della capacità degli Stati di tutelarla e garantirla. Le migrazioni di massa sono in realtà solo l’esito “più vicino ai nostri occhi” di una serie di minacce asimmetriche (estremismi, rivendicazioni nazionali o di altra natura, etc.) che fanno parte del nostro mondo. Non è certo una prospettiva rosea, ma è questo il pianeta “tossico” in cui viviamo. E a Gianluca Ansalone va riconosciuto il merito, e soprattutto il coraggio, di averlo “svelato” senza troppi giri di parole.


Gianluca Ansalone, “Pianeta tossico. Armi di distruzione di massa, segreti e insidie”, Castelvecchi, Roma 2014.