Per lavoro devo occuparmi da molti anni di sesso. Non a livello umano, ma animale.

Vi è un flagello delle farine e delle paste alimentari che mette spesso in seria difficoltà chi detiene e gestisce un molino. Ma anche in casa, se si lasciano scoperte confezioni di pasta o del pane raffermo o vi sono sul tavolo dei fiori secchi, ecco che arriva lei, la Plodia interpunctella, una farfalla di color crema alla base e di bruno arancio nella parte distale. E’ una femme fatale che attira i maschi e così si ovodepongono oltre 200 uova in ogni accoppiamento. Da qui le larve, pericolose e voraci, e poi di nuovo le splendide farfalle. Che fare per combattere la Plodia? A livello mondiale si usa un curioso ritrovato della chimica: il feromone sessuale. Sono sostanze aeree che si disperdono nell’ambiente e liberano nell’aria un elemento a forte carica attrattiva nei confronti del maschio, che viene così catturato in appositi contenitori di plastica. E’ un controllo/limitazione delle nascite adottato su vasta scala nelle industrie alimentari. Inodore per l’uomo, ecologico, silenzioso.



Ma c’è dell’altro. Se il controllo/limitazione delle nascite, ottenuto evitando l’accoppiamento, vuole essere fatto in modo ancor più sofisticato, all’attrazione sessuale si sostituisce la confusione sessuale. Un piccolo dispenser eroga una polverina impalpabile, si tratta di un feromone sessuale femminile, un artificiale odore di femmina, di cui i maschi, alla ricerca della preda, si imbrattano le ali, spargendo ovunque volino la fatidica sostanza. Allora, e nessuno di noi se n’è accorto, quell’ambiente sembra pieno di femmine che femmine non sono. E le farfalline non si riproducono, diminuisce la loro presenza e il repentino calo demografico riduce i rischi per le nostre farine e i nostri biscotti. Tutto è bene quel che finisce bene. La morale è salva e la produzione di alimenti più integra, più sana.



L’opera in cui Hegel esprime in modo splendido e unico il suo vigore filosofico è la Fenomenologia dello spirito (1807). Interessante il sottotitolo: Scienza della esperienza della coscienza. “La coscienza è a se stessa la propria misura”, dice sin dall’inizio il grande filosofo di Stoccarda. La sua opera  è stata considerata, e a ragione, la grammatica trascendentale del pensiero moderno. Ciò vuol dire che, da quel momento, non si può più pensare che in un certo modo, nel suo modo. La coscienza come misura, criterio di ogni avventura della ragione, è prodotta dall’autocoscienza.  Aver coscienza della propria coscienza equivale a produrla, a crearla, a volerla. L’aver coscienza di qualcosa è come concepire quella cosa.



Lacan direbbe: lasciamoci guidare da lalingua (tutto attaccato): connaître (conoscere) equivale a co-naître (co-nascere). 

Dunque io sono ciò che decido di essere, ciò che voglio essere. 

Ed ecco, infine, il gran salto. Se decidere e volere esprimono facoltà riservate a una élite (C. Lasch), la democratizzazione di tali propensioni decisionali è tutta affidata al “sentire”: io sono ciò che sento di essere. Il sentirsi diverso da come la natura suggerisce è molto indotto dall’ideologia del pensiero unico dominante, che riesce a far prevalere il sentirsi sul sapersi.

Come quegli insetti confusi da strani odori, che non riescono più a riconoscere quella differenza che prima li aiutava a riprodursi e a volare alto.

Il crescere e maturare di una identità sessuale, senza stare a scomodare Freud, non ha all’origine un sentirsi, ma un riconoscersi. La fluttuazione del sentire non facilita l’orientamento, produce anzi, nel drammatico scoprirsi di ogni soggettività umana, un dis-orientamento. Un allontanarsi da quell’origine che sempre conferisce alla sessualità, prima ancora della sua funzione, il suo mistero. Ciò da sempre polarizza il rapporto uomo-donna, nella loro radicale differenza, entro una irresistibile attrattiva. Che non risolvendosi mai in ciò che si sente, non conosce l’usura del tempo.