Dopo venti numeri e dieci anni di attività la rivista plurilingue Oasis cambia formato ed editore. Il nuovo numero, pubblicato da Marsilio, più piccolo nella veste ma identico nel numero delle pagine e nella sostanza, verrà presentato oggi alle 18.00 a Milano, presso la sede Oasis di Piazza San Giorgio 2. Interverranno il cardinale Angelo Scola, presidente della rivista, il direttore di Avvenire Marco Tarquinio, Luciano Fontana, direttore del Corriere della Sera, Roberto Rho, capo di Repubblica Milano, Shahrzad Houshmand docente di islamologia presso la Pontificia Università gregoriana di Roma.
La rivista cambia quindi look e, nella forma di un quaderno, appare più maneggevole. Non perde, però, in qualità. Antesignana nel dialogo e nel confronto tra cristianesimo e islam, essa ha offerto, in questi anni, contributi di prima grandezza grazie a collaboratori di ottimo livello provenienti dalle due fedi religiose. Il fil rouge che ha sorretto i testi è il rapporto con la modernità, un rapporto che ha interpellato il mondo cristiano e che interpella oggi, con esiti opposti, il mondo islamico. Così il numero appena editato reca il titolo L’Islam al crocevia. Tradizione, riforma, jihad. Come si rapporta l’islam al mondo moderno occidentale? Chi sono i protagonisti di un confronto che ha segnato il mondo musulmano dalla fine dell’800 ad oggi? Queste alcune delle domande che trovano nel quaderno illuminanti risposte.
Scopriamo così come il giudizio sull’Occidente, fatto di attrattiva e di repulsione, è indissolubilmente legato alla lotta contro il colonialismo. Le correnti riformatrici dell’islam moderno reagiscono negativamente al volto accomodante delle élites al potere e tornano idealmente, come rimedio alla corruzione e alla schiavitù del loro presente, all’islam originario, a quello del profeta Muhammad e dei suoi discepoli.
Uno dei protagonisti di questo “ritorno” è l’egiziano Muhammad ‘Abduh, vero crocevia dell’islam contemporaneo. In lui, infatti, è possibile cogliere l’origine tanto del modernismo quanto del fondamentalismo. Un incrocio che mostra quanto il quadro delle origini possa essere complicato. E’ quanto afferma Sherif Younis, per quale il pensiero di ‘Abduh, studente dell’importante Università di al-Azhar al Cairo, apre le porte, da un lato, allo sforzo interpretativo (ijtihâd) del Corano, chiuso negli ultimi secoli, e, dall’altro, alla mitizzazione fondamentalista del tempo dell’islam delle origini.
In tal modo la “quaestio” dell’islam primitivo diventa il problema che, come un macigno, sta al centro tanto del modello riformista quanto di quello rivoluzionario, con il risultato che il confronto del moderno appare contrassegnato da un ritorno all’origine, da un duplice rifiuto che coinvolge la civiltà europea così come la civiltà islamica posteriore a Muhammad. E’ la posizione fondamentalista che trova oggi la sua forma “apocalittica”, come mostra David Cook, nell’Armageddon dato dalle bandiere nere dell’Isis. Una forma che si spiega a partire da un ideale auto sacrificale nuovo per l’islam stesso, l’ideale di una religione nichilista per la quale la violenza non tollera più limiti. Sono venuti meno i tre confini: il corpo delle donne, sacro per la generazione; i luoghi di culto (chiese, sinagoghe, moschee); i cimiteri.
Come afferma Hamit Bozarslan: «Finché questi tre confini sono stati sacralizzati e dichiarati inviolabili, le comunità potevano coesistere. Ora, da 30-40 anni a questa parte, queste frontiere vengono sistematicamente violate e il processo si sta accelerando. Se già i talebani non erano “molto tolleranti” rispetto alla pluralità, oggi Isis o Boko Haram sono entrati in una logica di distruzione pura e semplice. Per loro, uccidere gli uomini e rapire le donne è una cosa che va da sé. Ibn Khaldun parlava di de-civilizzazione: ecco siamo in un processo di de-civilizzazione».
A questo orientamento si oppone la tendenza modernista, occidentalista. Una tendenza laica propria di quelle élites che vedono la soluzione in un azzeramento della tradizione, in una lettura non letteralista del testo coranico, in una assimilazione della cultura europea moderna. Una tendenza, va detto, che, singolarmente, non trova affatto appoggio in quello stesso Occidente che, in teoria, dovrebbe sostenerla. Nel mondo arabo, infatti, come afferma Hamadi Redissi, «l’avvenimento più importante del XX secolo rimane comunque il patto della Quincy. Il 14 febbraio 1945 ‘Abdelaziz Ibn Sa’ûd e il presidente americano Franklin Roosevelt si incontrano sulla corazzata Quincy. Suggelleranno un patto…: petrolio in cambio di protezione militare». E’ il patto che lega l’Occidente, fino ad oggi, con la dinastia dei Sa’ûd in Arabia Saudita, i protettori e promotori dell’islamismo wahhabita, l’islam puritano che è all’origine, insieme a quello egiziano dei Fratelli musulmani, di tutti i moti fondamentalisti dell’islam odierno.
In tal modo l’Occidente, bisognoso di petrolio, si rivela il principale alleato delle correnti più illiberali dell’islam contemporaneo e, in questo modo, il principale nemico di sé stesso. Al di là di questi paradossi resta il nodo: l’islam al crocevia tra tradizione, riforma, jihad, come recita il titolo di Oasis. Un nodo che per essere sciolto, come mostra Wael Farouq in un suo illuminate saggio, richiede di porsi al di là dell’opposizione tra tradizionalisti e modernisti per tentare di delineare un ponte tra tradizione e modernità, tra cultura islamica e cultura europea.
A tal fine non si tratta più di fare archeologia, di tornare all’islam degli inizi, ma di reinterpretare intelligentemente una storia per mostrare in essa l’essenziale ed il contingente. Un lavoro di grandi dimensioni e di importanza cruciale a cui Oasis, nei suoi dieci anni di vita, ha dato un contributo di grande rilievo intellettuale.