In questi giorni di grande preoccupazione per caso greco è difficile non ripensare al default, apparentemente simile, dell’Argentina nel dicembre 2001.
Entrambi sono processi indicati come “crisi del debito” e in entrambi i casi si è palesata la questione default. Esistono, tuttavia, importanti differenze tra i due casi. La più importante è ovviamente che la Grecia fa parte dell’Ue, mentre l’Argentina, pur all’interno di uno schema regionale come il Mercosur, non godeva e non gode di una moneta unica e condivisa con altre realtà statuali.
Il tema monetario è fondamentale. La crisi del 2001 in Argentina presenta una serie complessa di motivazioni, ma la sua causa principale può essere ricondotta all’adozione della ley de convertibilidad introdotta dal superministro dell’economia Domingo Cavallo nel marzo del 1991, misura che rese possibile la conversione 1 a 1, altamente sopravvalutata, tra dollaro statunitense e peso argentino.
L’intera base monetaria veniva dunque coperta da riserve internazionali: in tal modo la banca centrale perdeva il controllo sulla politica monetaria.
La ley de convertibilidad ebbe però effetti straordinari: tra il 1991 e il 1998 l’inflazione scese violentemente e la stabilità macroeconomica richiamò grandi investimenti.
Come sempre — e qui il parallelismo con il caso greco — tutto sta nella mancata fiducia degli operatori internazionali sui sistemi paese più deboli, e del peggioramento delle aspettative che via via si fa più evidente, come ben si è visto in questi giorni.
Nel caso argentino gli eventi che fecero degenerare la situazione furono la crisi del sudest asiatico, il default russo sul proprio debito sovrano e la svalutazione del real brasiliano: le economie emergenti dunque sembravano meno stabili ed erano soggette a un aumento dell’indice di rischio paese.
Nell’attuale caso greco l’importanza del ruolo egemone della Germania in Ue e l’interesse degli Usa verso l’Europa, e dunque il profilarsi di un nuovo possibile assetto mondiale, sono i dati più rilevanti.
La ley de convertibilidad avrebbe potuto funzionare solo fino a quando l’Argentina sarebbe apparsa “stabile” e questa apparenza durò per circa 10 anni, nei quali il paese si sentiva e veniva fatto percepire come parte del primo mondo. Sarebbe forse bastato leggere un po’ di storia dell’Argentina per comprendere come difficilmente le variabili macroeconomiche siano state tenute sotto controllo nel paese sia in regimi protezionisti sia in regimi liberali, sia in dittatura sia in democrazia. Questo vale benissimo anche per la Grecia, la cui storia è disseminata di crisi e fallimenti con un crescente e colossale debito pubblico senza controllo dai primi anni 80.
Il sogno argentino si ruppe quando i livelli di indebitamento furono insostenibili e si innestò una caduta delle attività economiche, invero già presente dalla metà degli anni 90, e una forte contrazione interna si manifestò, sia nei consumi, sia nell’occupazione, sia nei salari.
L’aumento dei costi dell’export, l’aumento delle importazioni a causa dell’elevato valore reale del peso, gli alti livelli di consumo abbinati a un rallentamento della produzione interna e a una diminuzione degli investimenti domestici fecero scoppiare una bolla da sovraindebitamento. Bolla possibile grazie al fatto che il governo, nell’emissione di debito pubblico, pur di ottenere risorse finanziarie atte a tamponare le necessità fiscali, fece crescere i tassi di interesse sui buoni del tesoro (tesobonos) per rendere il debito pubblico argentino più appetibile sui mercati internazionali.
Nel caso greco, la ben nota falsificazione dei dati, la nazionalizzazione delle imprese e la statalizzazione dell’impiego, gli alti costi associati alle olimpiadi del 2004, la mancanza di una riforma tributaria che tassasse i redditi più elevati, oltre ovviamente all’emissione di debito poi dichiarato in junk bonds, sono gli elementi causanti del processo.
A differenza della Grecia, però, la maggior parte del debito argentino era in dollari, per dare ai creditori locali una garanzia rispetto alla svalutazione possibile del peso, questione che rese ancor più catastrofico il default.
Ma vediamo che cosa accadde allora. Il presidente De la Rua nel 2001 chiese aiuto al ben noto Domingo Cavallo, che resosi conto della drammatica situazione argentina previde severe misure di ristrutturazione: bond meno remunerativi ma che avrebbero allungato la vita del debito, nella speranza che una possibile crescita economica avrebbe supplito alle carenze fiscali.
Questo processo non avvenne e iniziò la turbolenza finanziaria ossia la fuga di capitali e l’acquisto di dollari. Le autorità monetarie decisero allora di limitare la possibilità da parte di qualsiasi soggetto economico di ritirare dei fondi dal sistema creditizio. Ebbe avvio così il corralito financiero e l’Fmi sospese gli aiuti finanziari all’Argentina, dando il colpo fatale alla credibilità del sistema economico.
Quando Duhalde, succeduto alla presidenza, dichiarò l’intenzione di sospendere il pagamento del debito estero, da lì tecnicamente iniziò il default e la svalutazione del peso.
Gli scontri di piazza, benché violenti, lasciarono sul campo meno di 40 vittime. Molti i cacerolazos (le famose pentole che venivano “suonate” nelle strade); nella contingenza si usarono forme di baratto e forme diverse di scambio economico.
Il rilancio dell’economia argentina fu possibile a partire dal 2003 e fu dato dall’incremento delle esportazioni favorite da un peso più debole. La diminuzione del livello di importazioni si è rivelata anch’essa una componente fondamentale per la ripresa economica argentina. La domanda interna, non essendo più indirizzata alle merci di produzione estera, si è progressivamente orientata sui beni e servizi prodotti localmente.
Kirchner, alla presidenza, condannò gli investitori internazionali che volevano essere risarciti accusandoli dei grandi interessi da essi guadagnati prima del default, riuscendo così ad arginare il problema del debito, che tuttavia si ripaleserà con un nuovo default tecnico nel 2014.
Certo, l’Argentina ha vissuto una ripresa a tassi cinesi perché ha cavalcato il super-ciclo della soia ed è tornata a un modello agroesportatore, potendo contare su immense estensioni di terreno e su un mondo in cui le materie prime latinoamericane rivestono un ruolo determinante per paesi immensamente popolati come India e Cina. La Grecia che farà?
Ci saranno problematiche contingenti, forse ulteriori segni di austerità, ma la storia insegna che, come ben sosteneva Jacques-Gilbert Ymbert già nel primo Ottocento nel suo L’arte di far debiti, gli stati, anche se falliscono, non muoiono.