Poco dopo la pubblicazione dell’enciclica sociale di Papa Francesco il dibattito sul suo messaggio centrale, l’ecologia integrale, è appena iniziato. Leggerla come un’enciclica “ambientale”, “verde” od “ecologica” è fuorviante, perché l’ambiente è sempre considerato come “creato”, cioè in riferimento al Creatore che l’ha affidato alla responsabilità dell’uomo. Il Papa evidenzia come il venire meno a questa responsabilità è la principale causa dei problemi sociali attuali, che a livello globale si concretizzano in un degrado ambientale ed umano (LS 48) per colpa di un «antropocentrismo dispotico» (LS 68), chiamato anche «antropocentrismo deviato» (LS 69, 118, 119, 122), oppure «antropocentrismo moderno» tout court (LS 115-136).
Che cosa intende Francesco con tale «antropocentrismo» sbagliato? Tramite il «paradigma tecnocratico» (LS 109), l’uomo moderno si sarebbe allontanato dai suoi rapporti reali con la natura e con gli altri: egli vivrebbe una mentalità dell’«usa e getta» non soltanto nei confronti delle cose, ma innanzitutto nei confronti degli altri. Ciò si esprime nelle varie forme di esclusione dei poveri, disoccupati e svantaggiati dai benefici economici, dalla partecipazione politica, dal riconoscimento dei diritti, in una parola dalla comunità della famiglia umana (LS 49). L’appello del Papa per l’ecologia integrale vuole invece invitare ad una nuova solidarietà che intende risolvere tali problemi sociali dalla loro radice: secondo Francesco, infatti, è attraverso un nuovo rapporto con il creato in tutte le sue forme che si acquisisce «in maniera spontanea» una nuova mentalità, quella della sobrietà e della cura (LS 11). L’ecologia integrale significa quindi non semplicemente la salvaguardia dell’ambiente, ma una nuova «solidarietà universale» con l’intera famiglia umana, con le future generazioni e con il creato (LS 14), perché tutto è «intimamente connesso» (LS 16).
Segno della mentalità moderna della desolidarizzazione sarebbe, secondo il Papa, quell’accelerazione dei processi tecnici, mass mediatici, economici, lavorativi e politici, che allontanano sempre più questi sistemi dalla realtà. Tale rapidación (LS 18) è desolidarizzante perché non si domanda quali siano i ritmi del reale creato, sul quale invece imprime la dinamica del profitto e dell’«usa e getta». Per Francesco, l’economia finanziaria è l’ambito emblematico di un’accelerazione che non corrisponde più alla creazione reale di valori (LS 189): come si evince, tale critica non ha a che fare con l’analisi dell’alienazione di Marx, come alcuni sospettano, ma segue piuttosto la lettura che Romano Guardini (1885–1968) dà nella sua opera La fine dell’epoca moderna, unico riferimento ad un pensatore cattolico moderno in tutta l’enciclica: secondo il pensatore cattolico, citato più spesso di San Tommaso e dei Padri della Chiesa, la modernità avrebbe prodotto un «uomo non-umano» che si sarebbe elevato al di sopra di una «natura non-naturale», impedendo in questo modo qualsiasi esperienza originale dell’uomo in un contesto naturale finalizzato a Dio.
Se si divide l’uomo dal suo contesto naturale nel creato, non si capisce più né che cosa sia l’uomo, né che cosa sia la natura: e infatti Francesco condanna sia l’«antropocentrismo» che il «biocentrismo» come estremi ugualmente sbagliati. E come l’opera di Guardini osa una prospettiva profetica per il futuro, constatando la fine di questa epoca della separazione, così anche il Papa rileva molto positivamente che nell’ultimo periodo l’umanità sviluppa una consapevolezza sempre più critica nei confronti di questo paradigma-mentalità della «modernità».
Probabilmente per non mettere a repentaglio l’incisività di questo messaggio, il Papa non si riferisce agli scritti di Guardini specifici sulla tecnica, nei quali si inquadra un rapporto decisamente più positivo rispetto alle possibilità della tecnica di quello delineato dal Papa nella Laudato Si’. Infatti, è stato già annotato in alcuni commenti che proprio gli esempi scelti da Francesco — inquinamento, rifiuti, clima, acqua, biodiversità, vivibilità delle città — attesterebbero proprio ai paesi tecnologicamente ed economicamente sviluppati i migliori progressi nella salvaguardia dell’ambiente; e giustamente Francesco sottolinea i progressi che senza dubbi sono già stati fatti. Ma tale critica all’enciclica non coglie il suo senso profondo: il Papa sottolinea infatti che, sebbene la tecnica e lo sviluppo industriale portino ultimamente anche a un miglioramento dell’ambiente, ciò è soltanto un lato della medaglia e quindi non dispensa l’umanità da una conversione molto più importante ossia verso una forma di vita più autentica (LS 206). Essa si esprime nella solidarietà universale verso gli altri, in un’austerità responsabile verso se stessi (LS 214), nell’accettare il proprio corpo (LS 155), e infine nel sostituire la dinamica della rapidizzazione con uno sguardo più sostenibile (LS 192). Riguardo a quest’ultimo aspetto, è notevole come Francesco traduce una nozione classica della dottrina sociale della Chiesa in una categoria temporale: realizzare il bene comune vuol dire pensare ed agire a lungo termine e quindi rallentare una frenesia del profitto a breve termine.
Ciò che a molte letture sembra un appello per la “decrescita”, in realtà è tutt’altro che una presa di posizione di Francesco a favore di questa teoria che attualmente gode di una certa popolarità. Sebbene Francesco avanzi una chiara critica alla dottrina della crescita infinita (LS 106), bisogna anche constatare che l’unica volta che il termine «decrescita» appare nell’enciclica (LS 193), esso indica tutt’altro che un fine verso cui indirizzare l’agire e le politiche, bensì, e secondo la dizione classica della teologia morale cattolica, una conseguenza non intenzionale da «accettare». Nel ridefinire il progresso (LS 194), che propone ad esempio di includere i “costi dell’ambiente” anche nei calcoli economici dei grandi progetti come nel bilancio delle aziende (LS 182, 195), il criterio del Pil viene conseguentemente contestualizzato e solo per questo si dovrebbe «accettare» anche un rallentamento della crescita economica o l’effetto di una certa decrescita.
A ben vedere, tale idea è patrimonio della dottrina sociale della Chiesa già dalla Caritas in veritate: ciò a cui Benedetto XVI e Francesco vogliono dare inizio, è una nuova cultura del “dare” oppure del condividere che, come sottolinea Francesco, è cosa diversa dal «rinunciare» (LS 9). Dunque la Laudato Si’ non solo evita il linguaggio della decrescita, ma evita anche le formulazioni forti della Evangelii Gaudium contro il libero mercato, che avevano fatto molto discutere.
Anzi, all’imprenditore viene assegnato un ruolo importante nella visione profetica di un nuovo rapporto tra uomo e natura: «è indispensabile promuovere un’economia che favorisca la diversificazione produttiva e la creatività imprenditoriale» (LS 129). Ciò che dovrebbe caratterizzare l’imprenditore ancora di più rispetto ad ogni persona sia politica che privata, è la solidarietà con il creato, la quale si realizza in modo “sussidiario”. Ciò significa che gli interventi nella natura non vengono affatto proibiti, ma devono realizzarsi soltanto per salvaguardare e stabilizzare l’autonomia del creato, garantendo il suo funzionamento (LS 34). Questo riferimento reciproco tra solidarietà e sussidiarietà — la sussidiarietà è il metodo e il criterio con cui la solidarietà deve essere realizzata — è infatti uno dei capisaldi dell’intera dottrina sociale della Chiesa. Si vede, quindi, come tutti i principi della dottrina sociale della Chiesa — persona, bene comune, giustizia sociale, solidarietà e sussidiarietà — costituiscano i pilastri di questo documento, anche se non vengono più declinati nella maniera classica “dottrinale” di una Chiesa “Mater et magistra” ma appaiono come linee guida per ripensare il rapporto dell’uomo con il creato.
Sta in questo, infatti, la vera novità dell’enciclica, oltre la tradizione della dottrina sociale della Chiesa, che dalla Rerum novarum alla Caritas in veritate aveva come punto di riferimento la modernità e il suo pensiero “dialettico”: tra liberalismo e socialismo, tra individuo e stato. Francesco oltrepassa queste categorie, perché non inserisce più l’uomo in un ambiente politico, ma lo pensa nella sua situazione nel creato, quasi in uno “stato di natura” prepolitico. Ciò gli permette senz’altro quella prospettiva di critica radicale, profetica, nei confronti di tutto il sistema politico-economico, al costo però di perdere quella dimensione che era la più propria della “moderna” dottrina sociale della Chiesa: ossia una critica strutturale. La “moderna” dottrina sociale della Chiesa, infatti, si basava sulla consapevolezza che l’appello morale non è sufficiente per il miglioramento delle condizioni sociali, perché non tiene in debito conto la natura peccaminosa dell’uomo. Essa non mira in prima linea alla perfezione della natura umana, ma cerca i principi giusti per l’ordinamento politico-economico nelle condizioni della natura umana hic et nunc.
Francesco inverte di fatto questa impostazione metodologica della “moderna” dottrina sociale della Chiesa: egli parte dalla considerazione che le strutture non bastano, e mira esclusivamente al cambiamento dei cuori. In realtà, con questa affermazione riprende lo spirito della Caritas in veritate di Benedetto XVI, portandolo alle sue ultime conseguenze. Ma mentre l’enciclica di Benedetto XVI individuava ancora delle direttive per un ordinamento “giusto”, l’enciclica di Francesco vede in ogni sistema sociale il pericolo di indirizzare l’uomo verso se stesso, e di impedire quindi la sua ricomprensione nel creato e il suo orientamento, insieme al creato, verso Dio (LS 83).
Per tale motivo, l’enciclica finisce con un appello morale e con due preghiere. Mentre le due preghiere simboleggiano il respiro ecumenico dell’enciclica, l’appello morale viene concretizzato, attraverso tutta l’enciclica, tramite una serie di buoni consigli su come realizzare l’auspicato cambiamento di atteggiamento nella vita quotidiana, per trovare in una condotta più austera le dimensioni interiori della vita e per realizzare in maniera concreta l’ecologia integrale (LS 11). E’ questo l’aspetto più anti-ideologico di questa enciclica, con cui Francesco si inserisce nel appello della dottrina sociale della Chiesa, che a tutte le ideologie “rivoluzionarie” contrappone la forza spirituale del “cambiamento”: ogni radicalismo ecologico e ogni allarmismo ambientalista, in questo senso, sono ideologie “rivoluzionarie”, contro cui Francesco giustifica moralmente delle momentanee «soluzioni transitorie» (LS 165), ed evoca una nuova leadership morale (LS 53).