Wael Farouq è docente di lingua araba all’Università Cattolica di Milano e all’Università Americana del Cairo; è vicepresidente del Meeting de Il Cairo, autore di saggi linguistici e  coautore, assieme a papa Benedetto XVI, del libro Dio salvi la ragione. Protagonista con i suoi studenti di quella che noi chiamiamo “Primavera araba”, nei giorni esaltanti di piazza Tahrir, è ormai voce autorevole di un islam europeo sapiente e aperto all’incontro. Si è raccontato a Soul, su Tv2000, durante il Meeting di Rimini, di cui è ormai storico amico, e il dialogo ha toccato i temi più urgenti e drammatici dell’attualità, ovvero lo scontro interno all’islam tra ideologia e fede, tra modernità e tradizione, la deriva culturale e civile dell’Occidente, lo spettro di uno scontro religioso e di civiltà.



Da dove nasce il coinvolgimento con l’Italia e quel pezzo di Chiesa che è Cl, che è all’origine del Meeting? “Al Cairo avevo uno studente italiano, con cui sono diventato amico. Era un tipo particolare, che ha distrutto tutti gli stereotipi positivi sull’uomo italiano che abbiamo in Egitto: elegante, che mangia benissimo, ha bellissime donne… Questo ragazzo era il contrario di tutto ciò, era un Memores Domini, non un prete, ma un cristiano che vive la verginità, lavorando nella società. Insomma, niente donne, pochi soldi, non mangia carne… Un musulmano vero, non un italiano! Il fascino di questo ragazzo era la capacità di vedere il bello negli altri e io ne sono stato colpitissimo. Con l’abitudine infatti le cose belle nella tua cultura, nella tua religione diventano invisibili. Lui mi ha fatto capire perché prego, perché invoco Dio, perché compio i riti. Mi ha presentato un giorno il libro di un sacerdote, Luigi Giussani. Non ne avevo mai sentito parlare e non c’era nulla in lingua araba su di lui. Ho cominciato a leggere Il senso religioso e sono stato colpitissimo, vi ho trovato quel che rispondeva al dialogo con me stesso e la mia realtà. Noi musulmani viviamo questo conflitto eterno tra modernità e tradizione e don Giussani ha presentato la forma vera di questo incontro, che è la persona”.



Le cosiddette “primavere arabe”: che cos’hanno significato, e che ne è stato? Delusione e rivolgimenti che hanno portato dittature e violenza, nient’altro? “Voi le chiamate così. E’ un termine che rappresenta la confusione sul nostro paese. Non puoi vedere l’altro guardando in uno specchio. Per noi la primavera è la stagione peggiore, fa caldo, il vento è torrido, una vera tortura, quindi la metafora non si addice. Casomai è l’inverno la stagione più bella. Parlo allora di Rivoluzione, e la bellezza di questa rivoluzione è il cambiamento delle persone, che da allora sono cambiate tantissimo, musulmani e cristiani, hanno iniziato a parlarsi, a bere il tè insieme, sono diventati amici. I corpi dei musulmani sono diventati chiesa per proteggere i cristiani che volevano celebrare la Messa, nei giorni della rivolta. E i corpi dei cristiani si sono fatti moschea, per i loro amici musulmani”.



Eppure troppi musulmani sono vittime oggi di un odio che sembra avere motivazioni religiose. “Il grande problema dell’integrazione dei musulmani in Europa è l’ideologizzazione dell’islam, da parte di chi ha fatto una proposta politica della fede; ma ci sono venti milioni di musulmani in Europa, e non sono tutti così. Anche in Egitto, ogni anno decine di migliaia di musulmani fanno a gara per mettere i loro figli in una scuola cristiana, per avere la più alta qualità, e così decine di migliaia di bambini crescono in una classe in cui c’è il crocefisso. Dobbiamo dividere nettamente tra musulmano e islamista. Il primo è un uomo di fede che ha fatto una scelta per la sua anima. Il secondo ha un’ideologia e vuole imporla agli altri e alla società. Non dobbiamo più parlare di islam ed Europa, ma di musulmani europei. In questo campo l’integrazione è ancora una sfida. Per troppi politici integrazione significa invisibilità, significa ‘non far problemi’. Ma questa invisibilità è il problema! Un’invisibilità diventa visibile quando si butta una bomba”.

Che responsabilità o che miopia vedi anche nel nostro paese? “Gli islamisti non sono molti, ma sono così presenti qui in Italia perché detengono di padre in figlio il potere nei centri culturali, nelle moschee, e i governi europei lo sanno benissimo. La tolleranza dell’Occidente nei confronti dell’islam politico è colpevole, mentre il mondo occidentale potrebbe aiutare l’islam, dando forza ai musulmani europei. L’islam infatti non è unico, l’islam in Egitto non è come in Arabia Saudita. Dobbiamo stare attenti anche al linguaggio. C’è religione e religiosità. La prima è una teoria spirituale, sacra, la seconda è una pratica e ci sono infinite forme di religiosità. Ecco la grande differenza tra musulmani e islamisti: il musulmano vive una certa religiosità ma rispetta quella delle altre religioni. L’islamista sceglie una forma e dichiara che è l’unica, e tutte le altre sono da distruggere”.

Vedi anche una perdita di identità, un appiattimento di giudizio, di ideali, nella debolezza con cui affrontiamo la sfida con il fondamentalismo? “Il vuoto che viviamo oggi in Occidente è gravissimo, senza questo vuoto la violenza del mondo islamico non sarebbe possibile. Per questo dobbiamo combattere non contro, ma “per”, per un significato che renda la vita della persona piena. La libertà non è il “che cosa me ne importa”. Il valore della libertà è l’amore all’altro, che è cieco se non è il risultato di un rapporto con una persona. Io conosco a partire da rapporti con persone reali, e sulla base di questi rapporti giudico, ovvero uso la ragione. E’ difficile trovare un italiano che non abbia un giudizio sull’islam, senza però che abbia mai incontrato un musulmano, e ci sono un miliardo e mezzo di musulmani… certo, la paura. Che è giustificata, con tutto quel che succede. Ma è anche pericolosa, scatena reazioni che a loro volta suscitano paure”. 

E come si vince l’ideologia? “Quando uno crede in un’ideologia il valore della persona non esiste più, perché la forma conta più della persona. L’islam diventa più importante dei musulmani! Dio ha detto nel Corano che proteggere l’islam è un lavoro di Dio, non è il nostro lavoro. Il musulmano deve essere testimone, e basta. L’estremismo è una violenza perché è conto l’uomo, non contro un paese, o una politica. E’ violento perché è estremista, non perché c’è una dittatura, non perché l’Occidente abbia delle colpe, non esiste una giustificazione possibile alla morte di una sola persona, nessuna reazione può essere una conseguenza. I liberali in Egitto sono sempre stati oppressi, eppure non hanno mai lanciato bombe contro gli oppressori. L’ideologia si vince dando spazio e valore alla persona, aiutandola a trovare il significato della propria vita. La persona è più gande delle sue scelte, perché le scelte si possono sempre cambiare. Il problema oggi non è negare i valori, ma guardarli come qualcosa di non reale. L’amore è bello… ma quando crediamo che l’amore può cambiare la vita di una persona e di un paese? L’amore è discernimento, perché quando uno è innamorato vede oltre i difetti dell’altro”.

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